I GIOVANI CHE FANNO POLITICA UNO STIMOLO AL CAMBIAMENTO
Giovani, storia e politica. Tre parole, infiniti mondi. Realtà complesse già se prese singolarmente; ispidamente trattabili se messe in relazione l’una con l’altra. «Se il fascismo non è stato che olio di ricino e manganello, e non invece una passione superba della migliore gioventù italiana, a me la colpa». Così incalzava Benito Mussolini nel discorso del lontano (ma mai troppo) 3 gennaio 1925. Perché citare una simile dichiarazione? Semplice: è fondamentale sottolineare il passaggio sulla «meglio gioventù italiana». In quel discorso, abilmente studiato e preparato, Mussolini avrebbe tranquillamente potuto utilizzare «migliore Italia, dei migliori italiani». Perché invece fare riferimento ai giovani? Marketing, propaganda. Facendo riferimento alla gioventù, Mussolini rese credibile, delicato e ricco di «bontà e amore» quello che in realtà era un messaggio nudo e crudo. Ed è proprio da tale concetto che vorrei partire: i giovani per la politica non sono altro che un mezzo per comunicare al fine di attrarre consenso ed elettorato, il quale tramutato in voti garantisce di volta in volta la rielezione dei soliti vecchi dinosauri che abitano il nostro parlamento, senato e istituzioni tutte. Palmiro Togliatti, nel discorso ai giovani del Pci del maggio 1947, sosteneva: «I giovani del nostro partito devono essere stabilmente conquistati dai grandi ideali del socialismo e comunismo». Ometteva di dire che è proprio in forza di questi ideali che i giovani del suo partito, come del resto accade anche oggi, vengono attratti nella struttura partitica, nella quale però viene loro affidato sistematicamente il compito di manovalanza, lasciando poco spazio a valori e ideologie. Per dare volantini e fare cortei non servono valori e ideologie: bastano gambe e braccia. Lungimirante e critico era invece Aldo Moro che, nel congresso della Dc del 29 giugno 1969, chiosava: «I giovani e i lavoratori che conducono questo movimento sono i primi a volere fermamente un mutamento nelle strutture politiche». Ed è proprio così. Un cambiamento è necessario. La politica deve smettere di considerare falsamente importanti i giovani, di utilizzarli come mero argomento propagandistico. I giovani, specialmente quelli che si avvicinano e si interessano di politica, devono finirla di svendersi per misero arrivismo misto all’indottrinamento subito nella forma più becera. Come scriveva il grande Papa Giovanni Paolo II nel 1991 in una sua enciclica: «L’uomo è, prima di tutto, un essere che cerca la verità e si sforza di vivere ad approfondirla in un dialogo che coinvolge le generazioni passati e future». Siamo sulla terra di passaggio, è bene ricordarlo sempre. Prendere in giro i giovani è, di fatto, prenderci in giro.
Caro Barzon,
Come si potrebbe darle torto, soprattutto leggendo le affermazioni che chiudono la sua lettera? Non credo però che tutti i partiti siano soltanto strumentali verso i giovani, come lei scrive, usandoli soprattutto come momento di marketing. Né voglio pensare che i giovani che si avvicinano alla politica lo facciano unicamente allo scopo di «svendersi per misero arrivismo». Ritengo invece che tutti noi conosciamo esempi per dimostrare il contrario, con giovani generosi e disinteressati che si rapportano con la politica pensando al bene comune. E conosciamo strutture politiche animate di ideali che sono per tanti ragazzi soprattutto un momento di formazione e di crescita. Vale comunque sempre l’appello di Aldo Moro. E vale soprattutto, lo ribadisco, il suo monito conclusivo.