«Terra, pianeta fragile»
L’intervista L’astronauta Guidoni sarà mercoledì all’auditorium Santa Chiara Sotto la lente i problemi ambientali: «Dallo spazio si vedono le nuvole di smog»
Il meteorologo Luca Lombroso, il giornalista Giorgio Zanchini di «Radio Anch’io», la presentatrice «comica» Teresa Mannino e l’astronauta Umberto Guidoni saranno i protagonisti della serata evento del Trento Film Festival che si terrà il 3 maggio all’auditorium Santa Chiara (ore 21). Il titolo dell’incontro Sos Terra, abbiamo un problema è chiaramente mutuato dall’esplorazione spaziale, in particolare da quella dell’Apollo 13 del 1970. Visto il contesto non potevamo che farcelo presentare da Guidoni, uno che è volato nello spazio a bordo dello Shuttle per ben due volte.
L’«Sos» di cui parlerete è partito dallo spazio?
«A dire il vero, sulla stazione spaziale internazionale su cui sono stato non esistono strumentazioni particolari legate all’osservazione della Terra dal punto di vista ambientale: questo tipo di studi specifici si fa con i satelliti. Ma posso dire che tutti gli astronauti tornano dallo spazio con la sensazione che il nostro pianeta sia molto fragile. Sarà che lo vediamo così isolato».
«Guardando il mondo da un oblò» che cosa si nota?
«A occhio nudo si vedono solo i danni provocati dagli umani. Dalla stazione spaziale non si vedono confini e nemmeno le città, se non di notte grazie all’illuminazione artificiale, ma si notano bene le nuvole di smog che coprono centinaia di chilometri di superficie e le cicatrici della deforestazione».
Non sono molti gli esseri umani ad aver avuto il suo punto di osservazione. Come si torna con i piedi per terra?
«C’è molta nostalgia per quella esperienza, quando vedo i colleghi a bordo della stazione spaziale orbitante mi viene ancora il magone. Ma è anche vero che per quel tipo di missioni serve una continua preparazione e una grande conoscenza delle nuove tecnologie. So che non potrò più tornare nello spazio, anche se in futuro qualcuno organizzerà voli turistici, ma lo si sa dall’inizio. Gli Space Shuttle sono dei reperti storici. L’Endeavour, su cui ho viaggiato per la seconda missione, è ospitato in un museo. Quando l’ho visto mi sono sentito vecchio».
Resta comunque una delle esperienze più invidiate al mondo. Come ci si convive?
«È’ impossibile dimenticare certe immagini e certe sensazioni, ma tornato a casa si torna terrestri. Quello che cambia è il modo di vedere le cose. Chi è stato nello spazio si sente figlio di un intero pianeta, non di una nazione o di un continente, quando torniamo sulla terra diciamo che torniamo a casa, perché la Terra è la casa di tutti noi. Questo ci rende molto sensibili su alcune questioni, in particolare quelle ambientali. Perché sappiamo di essere tutti sulla stessa barca e che dobbiamo mantenere una buona sintonia con il pianeta che ci ospita. Anche perché abbiamo solo questo, non si conoscono sostituti».
Tornando al Trento Film Festival, c’è stato un tempo in cui si scalavano le montagne per avvicinarsi alle stelle. Non è che con le vostre spedizioni avete rovinato una certa «poesia» dell’alpinismo?
«Non credo, anche perché l’attività in orbita assomiglia molto all’alpinismo. Quando si esce dalla stazione orbitante per quelle che chiamiamo le “attività extraveicolari”...». Quelle che chiamiamo «passeggiate spaziali»?
«Esatto, quelle non hanno nulla delle passeggiate, perché quando usciamo ci spostiamo legati con delle corde e utilizziamo le braccia come se fossimo in un’arrampicata, spostandoci lungo i corrimano». E, in entrambi i casi, alle spalle c’è il vuoto. «Si, ma nel nostro caso sono 400 chilometri di nulla».