I prigionieri dei nazisti anche in Venosta, l’Anpi oggi da Messner
Un diario ritrovato che rileva un segreto. Si tratta del diario di un reduce del campo di concentramento di Bolzano, Bruno Veronesi, che racconta di essere stato trasferito da Bolzano a un campo di lavoro satellite in Val Venosta, a Stava. A rilevare la storia è Lionello Bertoldi, presidente emerito dell’Anpi che oggi si recherà da Reinhold Messner nella sua tenuta a Castel Juval per discutere con lui sul destino di questo importante documento: «Proprio sotto Castel Juval c’era un maso di una famiglia sudtirolese che ha tanto aiutato i prigionieri del campo di lavoro. È un dettaglio della storia che Bruno Veronesi racconta nel suo diario. Un diario che è stato ritrovato grazie alle ricerche della ricercatrice storica Sabine Mayr e che ci permette di accertare la presenza di un campo di lavoro a Stava in Venosta — racconta Bertoldi — Nel gennaio del 1945 Veronesi fu trasferito da Bolzano insieme a una quarantina di altri prigionieri in questo campo per lavorare. Vado a parlare con Messner per decidere come utilizzare al meglio questo documento affinché sia il più utile possibile per diffondere la memoria di ciò che è successo».
Il diario svela anche dettagli inediti: «Veronesi non aveva il classico triangolino rosso con cui venivano identificati molti internati — racconta Bertoldi — Quando si entrava nei campi di concentramento si veniva subito identificati con un simboli che poteva essere un triangolino rosso per i dissidenti politici, oppure un triangolo viola per i testimoni di Geova ed altro ancora. Poi veniva assegnato a ognuno un numero di matricola e così si diventava un numero. Ora, interessante leggere che Veronesi aveva un numero di matricola ma non un triangolino rosso come altri, ma aveva una fascia rossa e si definiva un libero lavoratore del campo. Questa è una cosa che non avevo mai sentito prima, l’ho letta per la prima volta in questo diario». Il diario è un altro tassello per trasmettere la memoria: «Per noi è molto importante trasmettere la memoria di ciò che è stato perché è proprio attraverso ciò che è stato che siamo arrivati alla democrazia».