Emozionante Nona
La Haydn Il noto direttore inglese sul podio del Comunale e del S. Chiara Tate: «Per la prima volta dirigo insieme professionisti dell’ensemble e allievi
Anche per Sir Jeffrey Tate — il grande direttore di Salisbury (laureato anche in Medicina a Cambridge), 74 anni e una carriera musicale più che straordinaria — ci può essere una nuova prima volta.
Ma prima che lo sveli lui stesso, eccolo a provare la Nona di Mahler che dirigerà martedì a Bolzano (al Comunale, non all’auditorium) e il giorno dopo all’auditorium di Trento. Con lui, la ormai amata (e proprio per questo molto attentamente «allenata» in questi giorni bolzanini) orchestra Haydn e una bella pattuglia di allievi dei Conservatori dei due capoluoghi. Totale: 98 musicisti che lo ascoltano estasiati e motivatissimi. I due concerti saranno in memoriam di Andrea Mascagni, del quale ricorre il centenario della nascita (è scomparso nel 2004).
La Sinfonia n. 9 in re maggiore di Mahler non sarà diretta da Tate per la prima volta. «Ma per la prima volta — confida sir Jeffrey — dirigerò una orchestra professionista insieme con allievi che studiano ancora. E quasi non avverto la differenza: i professori Haydn guidano i ragazzi e loro si fanno guidare». Maestro, lei reincontra
dunque la Nona mahleriana. Con quale Gefuehl?
«Che dirle? È una partitura così bella, così riuscita. Forse persino troppo». E la sue direzioni precedenti della stessa opera?
«Due anni e mezzo fa a Venezia, con l’orchestra della Fenice. E ancora prima ad Amburgo
con la mia orchestra». Eppure lei non «frequenta» Mahler così spesso.
«Ha ragione, non sono un grande mahleriano. Mi considero piuttosto bruckneriano. E in questo senso, questa Nona non è vicina a Bruckner ma posso dirle che la considero molto più “compatta” rispetto
alle precedenti tre-quattro sinfonie di Mahler».
Lei è un grande specialista anche e proprio di musica tedesca.
«Sì, ma non di Mahler in particolare. Anzi, con altre sue sinfonie non sono riuscito a sintonizzarmi come forse avrei voluto. Le trovo troppo espressive e troppo razionali. Ma la Nona, invece. Sembra quasi che Mahler ci dica che non voleva scriverla, che ne avesse paura. A me basta dirigerne solo poche battute per esclamare: incredibile! E che senso di Natura». Quali sono i movimenti più complessi della sinfonia? «Il più complicato è il primo, che è quasi una sinfonia a sé. Il secondo e il terzo hanno una valenza quasi satirica, con marce ironiche. L’adagio finale mi fa pensare a lacrime di qualcuno che nascono dalla terra. E ci fa pensare che ci possa essere davvero qualcosa dopo la morte. Ma ne dovrei parlare con lei per ore…».
Nel settembre 2014 lei ha diretto a Dobbiaco. Ha visitato la casetta di composizione di Mahler?
«Sì. Lo ricordo benissimo. È stata la prima volta, per me. Ne conservo una memoria così intensa ancora oggi. Ho capito qualcosa di più della Nona, della grandezza della Natura, della vita correlata alla Natura stessa. E, naturalmente, della morte».
Una direzione faticosa, una interpretazione altrettanto intensa.
«Ma come si fa a dirigere questa Nona senza provare una emozione intensissima? Esiste musica che io posso dirigere certo con attenzione e rispetto ma solo “tecnicamente”, con l’esperienza. Con “questa” musica è impossibile non provare emozione. Avverto quasi un pericolo. Ma dirigere mi offre la possibilità di continuare a vivere».