Per un’arte dell’interiorità Due estetiche a confronto
Agli inizi dell’Ottocento Ugo Foscolo in Zacinto scolpisce l’immagine del «greco mar da cui vergine nacque/ Venere». Nella leggiadria malinconica della Venere di Botticelli, fluttuante sulle acque, spinta da Zefiro e accolta a riva da una delle Ore, il mito del Rinascimento esplode in tutta la sua carica dirompente.
Ma è al poeta filosofo del De rerum natura che Giuseppe Calliari risale per spiegare la polisemia sottesa a Venere contra Venere. Carla Bertoldi e Annalisa Filippi, la mostra che da oggi e fino al 26 settembre è visitabile a Palazzo Trentini, in via Manci a Trento (chiusa la domenica, sabato 9-12; lun-ven: 10-18).
Calliari, che dell’esposizione è curatore insieme a Danilo Curti e Giorgio Speranza, fa riferimento infatti all’invocazione con cui Lucrezio apre il poema: «Nulla senza di te si affaccia alle spiagge divine/della luce, nulla si riempie di gioia e d’amore» per sottolineare come Venere susciti «la vita multiforme», propagandola in ogni sua manifestazione. «Ma non appena tra desiderio e oggetto si frammette uno spazio, un tempo — osserva il curatore — ecco accadere a Venere una metamorfosi. Prima semplice, indistinto movimento desiderante, tutt’uno con ciò che desidera. Ora due, ora divisa. All’immagine
Adella Venere matrice della vita si sostituisce, potremmo dire, un dittico. Venere sta allo specchio, riflette. Venere ora si sa plurale, impulso e rinvio, intuizione e pensiero, gesto e forma, corpo e linguaggio. In una parola, arte».
È in questa prospettiva che Venere contra Venere non solo mette in dialogo l’estetica delle due artiste trentine, ma soprattutto pone l’accento sul «principio desiderante, che già i romantici coglievano come scisso».
In Carla Bertoldi, attraverso «il rito della mano, della penna che trova un ritmo e lo segue con insistenza calligrafica vicina all’automatismo, incontriamo la lezione della scuola orientale, lo zen — spiega Calliari — in Annalisa Filippi invece irrompe nella sua consistenza e urgenza la realtà nei suoi slanci e nei suoi ripiegamenti, nella negatività lasciata deflagrare e così accolta e superata». Nelle tele di Annalisa Filippi le teste sono la traccia figurativa più riconoscibile e ossessivamente riproposta, come accade, ad esempio, in quelle seriali dei Pensatori o delle Donne palladiane.
I titoli di Carla Bertoldi — Segno su nero, Stratificazioni, Separazione di campi — restituiscono un’idea compositiva fortemente intrecciata al simbolo. «Certo un’arte dell’interiorità in entrambe, non mimetica ma rispondente alle dinamiche sotterranee, anche dolenti, della psiche» conclude Calliari.