Conflitti e migrazioni dettati dal clima
Oggi alle ore 18 il coordinatore per l’ecosostenibilità della Cooperazione allo Sviluppo del Ministero degli Affari Esteri parlerà al festival Oriente e Occidente di Rovereto. Il tema di «Effetto serra, Effetto guerra», in libreria dalla prossima settimana, è il collegamento tra condizioni climatiche e scontri sociali in diversi paesi. Il volume è stato scritto in collaborazione con Antonello Pasini, fisico climatologo del Consiglio nazionale delle ricerche. Un ruolo fondamentale, spiega Mastrojeni, lo giocheranno le azioni dei singoli cittadini e la cultura, che attraverso i canali artistici potrebbe innescare una rivoluzione positiva in grado di diffondere benessere in ogni regione del mondo. Un titolo di forte impatto. Di che cosa parla questa pubblicazione?
«I cambiamenti climatici e il degrado ambientale in generale stanno accelerando le crisi delle regioni più fragili del mondo, destabilizzando società già povere e causando conflitti che portano alle migrazioni. L’Italia è il «punto caldo» in cui si concentreranno una serie di dinamiche che provengono da molto lontano. Il nostro intento è quello di introdurre degli elementi scientifici obiettivi per proporre una soluzione e spiegare come cooperare nella gestione di questa problematica è una strategia che non solo costa meno dei muri ma può portare all’espansione dell’economia italiana».
Qual è il collegamento tra problematiche ambientali e guerre?
«Anche nella nostra società contemporanea tecnologizzata continuiamo a dipendere moltissimo dai cosiddetti «servizi ecosistemici» forniti dalla natura, non solo per l’agricoltura ma anche per esempio per le infrastrutture. Non è infatti possibile progettare una strada senza sapere se attraversa un territorio arido o colpito da alluvioni. Il cambiamento climatico rende questi servizi imprevedibili, e quando ciò accade in società fragili può causare disequilibri e di conseguenza conflitti. Un esempio concreto è il Lago Ciad, la vena idrica del Sahel, la regione dalla quale provengono 9 migranti su 10. Il Lago Ciad negli ultimi 40 anni si è ridotto di 18 volte: da 25.000 km quadrati ha toccato un minimo di 1.200 km quadrati. Se il Mediterraneo si restringesse di 18 volte in 40 anni per l’Italia sarebbe il disastro in tutti i settori, dall’agricoltura al turismo, pur essendo un’economia forte integrata nell’Unione Europea. Città come Genova, Palermo e Napoli si affaccerebbero su una distesa di fango sgretolato popolato da carcasse di navi. Si capisce come sul Lago Ciad questa realtà ciò diventi un meccanismo di stimolo per Boko Haram, organizzazione terroristica che recluta nella disperazione ed è uno dei principali motori delle migrazioni».
Che tipo di strategia dobbiamo mettere in atto per gestire le migrazioni?
«Non si tratta né di etica né di orientamento politico: le scienze sociali e la climatologia ci insegnano che la soluzione più promettente è la cooperazione. Costruire muri e limitare i contatti con questo tipo di movimenti significa non solo lasciare che il disagio cresca lì dove le sue cause sono più profonde, ma anche spingere altri ad alzare barriere contro di noi. Al contrario, intervenire con programmi di sostegno è incommensurabilmente meno costoso per la nostra stessa economia. L’Italia è il Paese-ponte tra le due sponde del Mediterraneo e per questo deve essere il motore della mobilitazione internazionale».
Che ruolo possono avere i semplici cittadini?
«Siamo di fronte a un paradosso: nelle attuali condizioni rischiamo il disastro ambientale mondiale ma si tratta di una crisi che potremmo disinnescare se le singole persone scegliessero di compiere alcuni pochi gesti di sostenibilità il cui impatto quantitativo, sommandosi, è molto più efficace di qualunque accordo internazionale. Questi gesti hanno la caratteristica di essere percepiti come un sacrificio da fare in nome di un bene collettivo astratto. In realtà si tratta di gesti che fanno guadagnare: coibentare la casa, andare in bicicletta, nutrirsi meglio sono azioni che a livello individuale, di famiglia e di collettività migliorano la qualità della vita».
Qual è l’apporto della cultura e dell’arte?
«La rivoluzione culturale che è necessaria per mettere in atto questo tipo di processo passa attraverso una comunicazione empatica e vibrante, e l’arte ne è il canale perfetto. Credo che registi, musicisti, pittori, scrittori abbiano in questo momento le chiavi per arrivare alla collettività e coinvolgere nel profondo le persone nella comprensione del loro destino e del loro potere. Esiste una minaccia concreta alla nostra sicurezza, ma questo forse può essere lo stimolo giusto per cambiare rotta e rimediare agli errori del passato. Il cambiamento è frenato dalla sensazione che ognuno di noi sia solo un’irrilevante goccia, ma l’oceano non è altro che un insieme di gocce. Questa sfida è la grande occasione per attivare un ciclo virtuoso in grado di distribuire benessere a tutti. È una prospettiva talmente bella che mi fa essere ottimista».