Quell’immenso laboratorio chiamato «vita»
Corpo e spirito La vita è un laboratorio, ogni componente segue le sue leggi Nell’osmosi dei suoi elementi figuriamo ciò che siamo e che vogliamo esprimere La natura si produce attraverso immagini e storie che riempiono l’esistenza
Tra corpo e spirito, la vita è un immenso laboratorio in cui ogni componente risponde alle sue leggi.
Non c’è giornale o rivista o spot televisivo che non ti rimandi, con slogan sulla purezza e sulla naturalezza (forse si dovrebbe dire naturalità) al vivere liberato dagli agenti chimici. La chimica, si afferma, ci impesta la vita, produce le mucche più o meno pazze, uova più o meno chimicamente inquinate, cibi transgenici, inquinamenti atmosferici e chi più ne ha più ne metta.
Ma c’è chimica e chimica, dico io, anche se la chimica...Non credo che in natura ci sia una sola sostanza che non sia chimica: chimico è il sale da cucina, l’acqua che beviamo (anche quella del sindaco, intesa come acqua della rete idrica cittadina), chimico l’ossigeno che respiriamo, le sostanze che danno sapore e consistenza ai cibi, chimica la fotosintesi clorofilliana, il colore dei fiori, la trasparenza dei cieli, chimica la capacità di pensare del nostro cervello, le reazioni che accompagnano gli stimoli.
Siamo corpo e spirito è vero. Lo spirito forse non è chimico, anche se lo sembra almeno come suono — mi vengono in mente suoni come empatia e simpatia — ma il corpo fisico, cellule e molecole, seguono leggi e sono leggi della biologia, della fisica, della chimica.
Certo, la vita è un laboratorio e nella sintesi degli accadimenti non sapremo mai se non avremmo dovuto seguire una via o un’altra. La scelta, alle volte, sta fra cultura e natura.
Cultura e natura come nell’immagine di Robinson, nel Venerdì o il limbo del Pacifico di Michel Tournier. Da un lato un Robinson affondato nella palude come un maiale selvatico, dall’altro un Robinson con una organizzazione maniacale della disciplina e dell’ordine, un vero programmatore, un miscelatore di sostanze, cosa che la sua assoluta solitudine finisce col rendere risibili.
La natura. C’è da chiedersi se siamo proprio certi della assoluta amicizia della natura, se sia proprio il naturale, il genuino a farci star bene.
Sono in montagna, fra roc- ce e pascoli. Quando pensiamo alla natura, è vero, ci vengono in mente le montagne? Pensiamo alla evidente bellezza delle montagne. La natura incontaminata si offre pura al nostro sguardo, in una immediata esperienza di bellezza. Eppure questa bellezza se l’è inventata Rousseau. Prima di lui quel paesaggio semplicemente bello era considerato orribile, una sorta di anticipazione infernale. Certo i contadini e i montanari non la vedevano chissà in che aura di bellezza.
Simboli, immagini, mi si dirà. «La verità è venuta al mondo con simboli ed immagini, non la si può afferrare in altro modo» scrive Franco Rella, citando il Vangelo apocurezza, crifo di Filippo.
Immagini e figure che condizionano il nostro essere. La natura non si presenta in quanto tale, ma si produce attraverso immagini e storie. Immagini e storie ci riempiono la vita: amore, felicità, natura, genuinità, benessere, si- velocità, futuro, tecnologia, brivido, paura, coraggio, insomma il «ritmo del nostro tempo».
Un tempo addomesticato, prodotto chimicamente, un tempo che va verso un futuro che è già cominciato e che ci porterà alla distruzione o che è simbolo di progresso?
Sto leggendo Rovelli, L’ordine del tempo, e nel tempo mi smarrisco. Ma quelle di cui Rovelli parla sono questioni di fisica e io mi ci avvolgo e diviluppo.
Parole, frasi di un racconto che ci viene dai testi, dalle letture che sono, oggi, il nostro laboratorio della vita. Certo ci sono messaggi e messaggi.
Mi intriga anche la pubblicità che mette tutto come «questioni di chimica». Che il mio io sia contaminato anche dalla chimica pubblicitaria?
Ci vorrebbe una pulizia ecologica della vista e dell’udito, ma in cambio di che?
Forse sto facendo un elogio alla chimica.
Certo anche la mia presenza nel mondo è chimica, non solo quella del mio essere corpo.
Anche la mia scrittura lo è. È osmosi di quello che vedo, che sento, che leggo, di quegli autori, di quelle persone, di quelle atmosfere che mi entrano dentro, mi creano e diventano me e quello che io esprimo.
Mi avvelenano anche, eccome, come ogni buona chimica male usata.