De Eccher: dipingo solo le Dolomiti, le vette più belle
Ex alpinista altoatesina, ora vive negli Usa ed è diventata un’ artista Le sue opere sono esposte a Charleston: «Spero di tornare in Alto Adige»
I ricordi Gli orizzonti chiusi delle vette esercitavano un grande fascino su di me. In pianura, invece, mi sentivo persa. Mi è pesato molto andarmene La pittura La passione è nata per puro caso ed è stato un bel regalo scoprirlo in una fase avanzata della vita Una vera e propria folgorazione
«Sono nata a Bolzano da una famiglia altoatesina di origini trentine, ho fatto le scuole elementari a Egna, poi, mi sono trasferita in Friuli dove ho iniziato le medie, ma le mie origini altoatesine mi hanno influenzato moltissimo. Il passo Sella e il passo Gardena sono casa mia, forse non ho più un forte legame con gli altoatesini, ma con l’Alto Adige sì». Riccarda de Eccher vive oggi in una città molto lontana dall’Alto Adige, non solo geograficamente: New York, anzi, per la precisione Long Island.
Lasciata Bolzano e la sua provincia, si è trasferita in Friuli e poi negli Stati Uniti. In Italia molti la conoscono per la sua carriera da alpinista, oggi, però, è un’appassionata pittrice. Dal 27 agosto alcune sue opere sono esposte all’Halsey Institute per l’Arte Contemporanea di Charleston in South Carolina, poi faranno tappa a Londra ma anche in Friuli. Il suo soggetto preferito? Ovviamente le montagne, anzi le Dolomiti, perché si sa che le cose lontane spesso si amano con una forza ancora maggiore di quelle che ci sono vicine. Perché, grazie alla distanza, i difetti si notano meno e la memoria seleziona quel che fa più piacere. Per fortuna.
«Lasciare l’Alto Adige mi è pesato molto perché mi mancavano le sue montagne — ci racconta, in videochiamata, dal suo studio newyorchese — Gli orizzonti chiusi dalle vette esercitavano un grande fascino su di me, in pianura, invece, mi sentivo persa. Inizialmente amavo le montagne come puro spazio fisico, non per l’attività sportiva, poi, in Friuli, ho conosciuto un istruttore di un corso di roccia che mi ha fatto scoprire l’alpinismo. Ricordo ancora l’incredibile sensazione tattile della prima volta che mi sono aggrappata alla roccia. È stato un momento fondamentale. Poco dopo ho iniziato a dividere il mondo tra chi era alpinista e chi non lo era, oggi che ho sessantadue anni mi rendo conto che ero un po’ fanatica, ma da ventenne le cose si vivono diversamente».
A quell’epoca, infatti, i pennelli e le tavolozze non facevano parte del suo orizzonte: «No, la passione per la pittura è nata per puro caso ed è stato un bel regalo scoprirlo in una fase avanzata della vita. Ero in montagna, in Austria, e mio nipote continuava a chiedermi i nomi di ogni fiore che vedeva nei prati. Per accontentarla ho comprato un manuale che però non mi piaceva molto. Le foto non rendevano onore ai fiori, per questo ho deciso di comprare una scatola di acquerelli per riprodurli dopo averli osservati con attenzione. È stata una folgorazione, mi sono connessa con la mia anima in maniera più profonda, proprio come quando mi sono aggrappata a una roccia per la prima volta. Da quel momento ho incominciato a dipingere qualunque cosa». Ma quello è stato solo l’inizio di un percorso: «Ho iniziato a dipingere che avevo quasi cinquant’anni, ma se osservo la mia vita con gli occhi di oggi mi accorgo che tutto quel- lo che avevo fatto fino a quel momento mi aveva indirizzato verso l’arte. L’ambiente familiare incide, la mia era una famiglia di imprenditori che non era percorsa da un afflato artistico. Mio marito invece, si occupa di arte da sempre, è uno stampatore di altissimo livello e quindi, qui negli Stati Uniti frequento quotidianamente l’ambiente artistico. Ogni anno, per esempio, illustro un piccolo libro in collaborazione con uno scrittore che è anche un amico. Ne ho già fatti undici, tutti con persone che frequento abitualmente».
Sono state le frequentazioni a spingerla anche verso il soggetto particolare delle sue opere, le vette dolomitiche: «Negli Stati Uniti mi chiedono perché raffiguro solo le Dolomiti, io rispondo che lo faccio perché sono le più belle del mondo, le conosco bene, le ho scalate, mi hanno parlato e mi parlano. Solitamente, dipingo in dimensioni molto grandi, su carta da 150x110, dimensioni che credo si adattino molto bene ai miei soggetti. Ovviamente non dipingo en plein air, in montagna mi limito agli schizzi e a prendere appunti per il colore, poi passo alle fotografie che rielaboro con Photoshop per passare dalle forme del linguaggio fotografico a quello pittorico. Successivamente passo al disegno e alla pittura in piccoli studi prima di passare alla dimensione maggiore. Ci tengo particolarmente alla freschezza del dipinto, l’acquerello non può essere troppo lavorato, appesantisce troppo». Il risultato resterà in mostra all’Halsey Institute per l’Arte Contemporanea di Charleston fino al 7 ottobre, un po’ fuori mano. Ma nelle prossime settimane ci saranno occasioni migliori per poter ammirare i quadri di Riccarda de Eccher: «A breve esporrò all’Alpine Club di Londra e a dicembre ad Artegna, vicino Udine. Al momento non ho proposte dall’Alto Adige, ma le accetterei con molto piacere».