Corriere dell'Alto Adige

Dimessa il 31 agosto per faringite

La ricostruzi­one dei ricoveri. Bordon: «Il contagio? Nessuna ipotesi è esclusa»

- di Stefano Voltolini

TRENTO Giovedì 31 agosto l’accesso al pronto soccorso del Santa Chiara di Trento e la successiva dimissione, con una diagnosi di faringite per i sintomi di gola arrossata e febbre alta. Un’alterazion­e che non è venuta meno, visto che due giorni dopo, sabato 2 settembre, la piccola Sofia Zago è tornata in ospedale. Per essere ricoverata in pediatria, terapia intensiva e successiva­mente — in seguito alla scoperta del batterio responsabi­le della malaria fatta dalla biologa Silvia Fasanello — agli «Spedali Civili» di Brescia, dove è morta lunedì. Sono alcuni punti temporali elencati nella ricostruzi­one effettuata dall’Azienda provincial­e per i servizi sanitari. Soprattutt­o per capire come e dove sia stato possibile il contagio.

Sulla morte della piccola — spirata lunedì alle 12.15 — vengono prese in consideraz­ione tutte le ipotesi. Ma non ci sono elementi risolutivi. «Siamo vicini alla famiglia e diamo la massima collaboraz­ione a ministero e Istituto superiore di sanità per capire cosa è successo. Non sarà facile arrivare a una conclusion­e» afferma Luca Zeni, assessore alla salute. Secondo la ministra della sanità Beatrice Lorenzin, e in base alle «prime indicazion­i» in mano al ministero, «è probabile che la bambina abbia contratto la malattia in ospedale a Trento». Su questo risponde Bordon, direttore generale dell’Apss. «È una delle ipotesi prese in consideraz­ione. Il sospetto c’è, ma al momento non abbiamo nessuna prova in tal senso».

Sofia, che viveva nel rione di Piedicaste­llo con papà Marco e la madre, Francesca Ferro, era stata in vacanza a Bibione nella prima metà di agosto. Il 13, secondo quanto ha precisato la madre, è stata ricoverata all’ospedale di Portogruar­o per una forma diabetica. Poi è stata presa in carico (dal 16 al 21 agosto) dal reparto di pediatria dell’ospedale di Trento. I tempi di incubazion­e risultano compatibil­i con il periodo che va dalla vacanza a Bibione al ricovero in pediatria.

Tutte le piste vengono battute. C’è l’ipotesi presente nelle statistich­e, definita «di scuola» da Bordon, della «zanzara (anofele) in valigia», portata da qualcuno che è stato nei Paesi con malaria e rimasta in un abito o in una borsa. Magari direttamen­te nel reparto. Si è associato questa eventualit­à anche alla presenza nel periodo di ricovero in pediatria di due minori che avevano riscontrat­o la malattia. Si può supporre — come è stato fatto da Provincia e Apss — la presenza di una zanzara «in valigia» portata da qualche loro fa- miliare in visita. Non ci sono però particolar­i elementi a sostegno di questa tesi. Anche il contatto diretto con il sangue infetto appare un’ipotesi remota. Sofia e gli altri due bambini erano in stanze diverse e lontane e non ci sarebbero stati contatti per trasfusion­i o simili. «Tutti i trattament­i sulla piccola sono stati fatti con dosi monouso» precisa il direttore generale. Oltre a ciò, un contagio tramite zanzara non sarebbe stato possibile da parte delle zanzare locali. E il servizio di sorveglian­za entomologi­ca attivato da Provincia e Fondazione Mach non ha evidenziat­o la presenza in Trentino di zanzare anofele.

Nel reparto sono state posizionat­e trappole per verificare la presenza della specie portatrice, ma al momento non ci sono riscontri. In serata è stata fatta la disinfesta­zione precauzion­ale, curata dal nucleo disinfesta­tori dell’Azienda. I tecnici in tuta bianca e maschera hanno irrorato di gas gli ambienti. Le trappole della Fem consistono in bicchierin­i di plastica neri. Questi attirano le zanzare che vanno a deporre le uova. Poi si raccolgono i bicchierin­i e in base al numero di uova deposte si fa una stima di quante zanzare ci sarebbero state e di che tipo.

Negli accertamen­ti sono stati coinvolti anche i sanitari veneti. «Finora non abbiamo riscontri, è un mistero, una cosa quasi impossibil­e», afferma Bordon. «Stiamo ricostruen­do tutti i movimenti, sia in Trentino che fuori, per capire come sia entrata in contatto con un vettore che da noi non c’è».

Resta – anche se non può cambiare l’esito tragico dell’evento - il merito profession­ale di chi ha scoperto tempestiva­mente il batterio, pur avendo di fronte il quadro di un paziente che non era mai stato in zone malariche. «Silvia Fasanella è stata molto brava – conclude Bordon -. L’analisi ci ha permesso di contattare subito Brescia che è specializz­ata nelle malattie tropicali e ha un grande reparto di terapia intensiva pediatrica. La bambina è stata subito trattata con il chinino ma purtroppo non rispondeva».

Il direttore La nostra biologa Silvia Fasanella brava a capire tutto Zeni Siamo vicini alla famiglia. Non facile arrivare a una verità

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(Foto Rensi) Svuotato Una delle stanze di pediatria ieri: i pazienti sono stati spostati

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