UNO STATUTO DA CONDIVIDERE
La collaborazione tra Bolzano e Trento per la revisione dello Statuto di autonomia è fuori discussione, se non altro perché così prevedono le norme vigenti, dato che tanto sulla proposta di riforma di iniziativa locale quanto sul parere in merito a un documento esterno (di origine governativa o parlamentare) si deve esprimere il Consiglio regionale. È evidente, peraltro, che la mancata condivisione di una proposta di origine bi-provinciale porterebbe a un risultato del tutto negativo(ossia nessuna proposta di riforma), ovvero a uno ancora peggiore: un’iniziativa parlamentare. Possiamo immaginare di quale tenore quest’ultima potrebbe essere.
Al di là dei profili formali e procedurali — che pure non sono marginali — conta però la capacità di immaginare, elaborare e concretizzare in termini normativi una visione desiderabile, possibile e probabile dell’autonomia prossima ventura. Si tratta, allora, di individuare un terreno di incontro e mediazione circa i contenuti statutari da condividere. In proposito, occorre tenere conto del fatto che le forze politiche delle due province — perché non avevano ancora elaborato una propria visione o perché hanno preferito non esporsi direttamente alle critiche dei vari populismi, oppure perché genuinamente interessate a un’ampia consultazione dei cittadini — hanno optato per l’attivazione di due meccanismi di democrazia partecipativa: la Convenzione a Bolzano, la Consulta a Trento. Due strumenti con i quali occorre misurarsi, anche per non coprirsi di ridicolo.
In entrambe le esperienze, dunque, la rispettiva società civile sufficientemente motivata ha avuto modo di esprimersi, proporre, confrontarsi, dibattere. La democrazia partecipativa è diversa da quella rappresentativa: non ci si conta, ci si confronta. Si è presenti e attivi, o ci si autoesclude; si propone e si discute ma non si delibera; si partecipa o si subisce. Rispetto al documento finale della Convenzione, a Bolzano si sono registrate opinioni individuali di dissenso stranamente definite «relazioni di minoranza». Pure nel documento iniziale della Consulta trentina si è dato sinteticamente atto di opinioni e sfumature diverse. In Alto Adige si è registrata la convinta passione per l’autonomia, anche in una prospettiva cosmopolita ed europea destinata a crescere nel tempo; a Trento sembra per il momento prevalere la tendenza ad accontentarsi di un prudente e realistico accomodamento.
Inevitabile, adesso, porsi l’interrogativo sull’opportunità di verifica la propensione delle due società civili provinciali a manifestare un orientamento aperto alla condivisione della visione di uno Statuto riformato. L’onere in tal senso ricade, in realtà, soprattutto sulla Consulta trentina, sia perché deve ancora completare la fase partecipativa elaborando il proprio documento finale da inviare alle istituzioni, sia in quanto — salvo ripensamenti indotti dalla più recente partecipazione cittadina — ha manifestato un convinto patriottismo regionale che si dovrà pur concretizzare in qualcosa (oltre l’unicità dello Statuto, già accolta a Bolzano).
La Convenzione ha espresso una visione decisamente orientata ad andare oltre l’attuale specialità, che negli ultimi anni ha dimostrato la propria fragilità. L’opzione è così caduta su una concezione integrale dell’autonomia, tendenzialmente inclusiva di tutte le funzioni di governo fatta eccezione per quelle strutturalmente espressione della sovranità dello Stato.
Si è sollecitata la titolarità di competenze esclusive, salvo prevedere la necessità di norme di attuazione per l’effettivo esercizio di talune di esse (come l’ordine pubblico). Si è potenziata l’applicazione del metodo negoziale bilaterale tra gli esecutivi provinciali e quello statale, anche al fine di prevenire il massiccio contenzioso costituzionale che negli ultimi anni ha inquinato l’esercizio delle funzioni di governo.
La società civile trentina, attraverso la Consulta e utilizzando gli spazi di partecipazione ancora disponibili, accetta un simile disegno di autonomia integrale? Sarebbe un colossale errore vedere, del documento di Bolzano, soltanto il riferimento all’autodeterminazione (peraltro condiviso da alcune autorevoli voci trentine, sia pure come extrema ratio) e non (voler) cogliere l’applicabilità anche al Trentino di quella stessa forte concezione autonomista.
La condivisione della visione di un’autonomia integrale — sulla quale avviare un confronto unitario tra Bolzano e Trento, prima, e con lo Stato, poi — sarebbe un indicatore molto promettente e persuasivo circa le premesse di una prossima stagione statutaria caratterizzata da un’autentica vocazione territoriale della società civile.