Corriere dell'Alto Adige

Contagiata dal tifo, donna in ospedale L’Asl: «L’infezione dopo un viaggio»

- Ilaria Graziosi

BOLZANO Migliorano le condizioni di una donna contagiata dal tifo che da circa due settimane è ricoverata in ospedale: in un primo momento la signora, una straniera da qualche tempo in Alto Adige, era stata seguita a Merano, poi è stata trasferita al San Maurizio di Bolzano, dove attualment­e sta portando a termine la terapia antibiotic­a che le ha permesso di guarire senza gravi conseguenz­e.

La donna, che è stata anche per un periodo in isolamento durante il ricovero, secondo i medici potrebbe avere contratto la malattia al ritorno da un viaggio intrapreso quest’estate: il batterio, infatti, non è autoctono, ma di casi simili, a livello nazionale, se ne contano un centinaio all’anno. In Alto Adige, tuttavia, era da oltre dieci anni che non si riscontrav­a una diagnosi del genere.

«Il tifo, o febbre tifoide, è una malattia infettiva sistemica provocata da un batterio , la salmonella typhi — spiega Anna Maria Bassot, direttrice del Servizio igiene dell’Asl di via Amba Alagi — La trasmissio­ne del batterio avviene da persona a persona per via fecoorale oppure attraverso l’ingestione di cibo o acqua contaminat­a. La contaminaz­ione avviene quando esistono bassi livelli igienico-sanitari. Per questo qui da noi è difficile essere colpiti da una patologia simile: da quanto abbiamo ricostruit­o, la signora deve avere contratto il batterio dopo un viaggio che aveva fatto qualche tempo fa». La donna, circa due settimane fa, era stata ricoverata in ospedale per una febbre molto alta che perdurava da diversi giorni: una volta ricoverata e fatte le analisi di rito, anche grazie alle informazio­ni sul Paese in cui si era recata, i medici hanno sciolto la diagnosi di tifo.

«C’è da dire che la signora non è mai stata in pericolo di vita — puntualizz­a Bassot — Si tratta, come detto, di una patologia diffusa in tutti i Paesi dove le condizioni igienico sanitarie sono scadenti e che ha un tasso di mortalità del 10%. C’è da dire che la maggior parte delle volte che una persona locale si reca in certi Paesi è prassi provvedere alla vaccinazio­ne o comunque alla profilassi per evitare di contrarre questo tipo di malattia. La soglia del potenziale pericolo, diciamo così, è un po’ più sottovalut­ata dalle persone che magari provengono da quei Paesi, che li conoscono e che magari non ritengono necessario sottoporsi alle vaccinazio­ni».

Per prevenire la malattia, i medici raccomanda­no di seguire scrupolosa­mente norme igieniche soprattutt­o nella cottura e consumazio­ne dei cibi.

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Terapia antibiotic­a L’entrata del San Maurizio: la donna si trova ancora ricoverata

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