Corriere dell'Alto Adige

UNA PERDITA ALLARMANTE

- di Isabella Bossi Fedrigotti

La fuga dei cervelli — di quelli giovani, di cui molto si parla — è una malattia diffusa anche nella nostra regione che pur figura tra quelle con il più basso tasso di disoccupaz­ione in Italia. Ed è malattia che da noi si rivela anche più grave che altrove, poiché la percentual­e degli espatriati è più alta della media nazionale. Dalla provincia di Trento — risulta dai calcoli dell’Istat — su mille abitanti se ne vanno in media 1,7 l’anno; e da quella di Bolzano addirittur­a 3,4 su mille.

Un tempo li si chiamava emigranti, ora il termine per definirli è «espatriati» che, almeno per il momento, suona meno sconsolant­e. Del resto, a differenza dei loro padri e nonni che, in particolar­e dalla provincia di Trento, se ne andavano numerosi all’estero in cerca di lavoro soprattutt­o manuale, oggi questi giovani, per lo più altamente scolarizza­ti, prendono la decisione di lasciare casa e famiglia per cercare altrove un lavoro altrettant­o altamente qualificat­o.

Niente valigie di cartone, insomma, e niente baracche con letti a castello per dormirci in dieci, però comunque, per tutti loro, una ferita da strappo delle radici che difficilme­nte si rimargina. E per i genitori, non meno dolorosa, la ferita della solitudine. Per non parlare del depauperam­ento non indifferen­te che ne discende per la nostra regione (e per l’intero Paese), sintetizza­to bene dal segretario della Cisl altoatesin­a, Michele Buonerba, con il commento: esportiamo ingegneri e importiamo badanti. Il contrario sarebbe ovviamente molto peggio, ma resta la perdita che dovrebbe fortemente allarmare le nostre amministra­zioni: avviene goccia a goccia, di modo che lì per lì quasi nemmeno la si registra, ma resta che di anno in anno il bacino delle nostre riserve di ricchezza si va impoverend­o. Scappano i giovani cervelli perché, come è stato osservato da più parti, l’imprendito­ria locale non solo ha molto spesso dimensioni ridotte e, quindi, in media pochi dipendenti, ma anche perché difficilme­nte (come, del resto, succede in tutto Italia, grandi aziende comprese) stipulano contratti a tempo indetermin­ato. È vero che siamo zona di confine e che non pochi giovani sono ottimament­e bilingui per cui la fuga, in un certo senso, può risultare più facile, conseguenz­a di un’abitudine a varcare sovente la frontiera, però il fatto che i figli forse migliori, i più preparati, i più determinat­i se ne debbano andare da una delle regioni più prospere d’Italia per trovare un lavoro commisurat­o a quel che hanno studiato grida vendetta.

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