«Creata una frattura che potrebbe durare decenni»
Lo storico trentino Forti, docente a Barcellona. «Manca dialogo, il futuro è incerto»
Steven Forti, trentino classe 1981, è professore a contratto presso l’Universitat Autònoma de Barcelona.
Forti Vive in Catalogna da quindici anni, e conosce quella realtà bene quanto la sua terra d’origine.
Professor Forti, che clima si respira a Barcellona il giorno dopo il referendum?
«Ci sono rabbia e preoccupazione per il futuro politico della Spagna e della Catalogna. Ma al tempo stesso la gente discute tranquillamente, non c’è il rischio di guerra civile che a volte viene descritto. I fatti di domenica rappresentano comunque uno spartiacque che segna un “prima” e un “dopo” della politica spagnola».
Perché si è arrivati a questo scontro?
«Per assoluta mancanza di dialogo tra le parti. A partire dalla riforma dello statuto di autonomia catalano, di cui il tribunale costituzionale spagnolo ha annullato alcuni articoli. Quella bocciatura ha causato un senso di frustrazione in Catalogna e si è rotto un rapporto di fiducia con Madrid. Poi sono arrivate le misure di austerity legate alla crisi economica».
I secessionisti rappresentano la maggioranza della popolazione?
«No, rappresentano circa il 40% della società catalana. E sembra che non siano cresciuti, se consideriamo i risultati delle ultime elezioni, due anni fa. Inoltre il referendum non rispettava le condizioni stabilite dalla Commissione di Venezia, e quindi i dati sul voto vanno presi con le pinze perché non sono affidabili. Certo, lo zoccolo duro degli indipendentisti ora potrebbe allargarsi, perché la condotta repressiva di Madrid, con la polizia in strada ad impedire il voto, avrà un effetto controproducente».
Quali conseguenze immagina nell’immediato?
«Bisognerebbe avviare un dialogo perché altrimenti ci vorranno decenni per rimarginare questa frattura nella società catalana. Ma le parti devono cambiare atteggiamento. Sbagliano gli indipendentisti, ad indire in modo unilaterale un referendum che non sarebbe stato riconosciuto legittimo né dallo Stato centrale né dall’Europa. Ma sbaglia anche il premier Mariano Rajoy, che nel commentare il referendum ha fatto un discorso fuori dal tempo, senza nemmeno menzionare gli 800 feriti».
Ci potrebbe essere una proclamazione di indipendenza?
«Sì, ma sarebbe pura propaganda, perché nessuna istituzione riconoscerebbe la Catalogna indipendente. E gli indipendentisti, che sono comunque i vincitori morali del referendum, farebbero un autogol, poiché a quel punto il governo centrale, che finora si è dimostrato durissimo, potrebbe sospendere la loro autonomia».
In Alto Adige i secessionisti sono già in fibrillazione per seguire l’esempio della Catalogna.
«Trovo sbagliato strumentalizzare il referendum catalano confrontandolo con altre situazioni. Anche con il Trentino - Alto Adige: due realtà diverse per dimensioni, storia, composizione sociale. In Alto Adige c’è una forte cultura autonomista, che è un pregio, ma che al tempo stesso non dovrebbe venire fraintesa come possibilità di secessione unilaterale».
I vincitori morali sono i promotori, ma ora devono evitare di fare proclami illegittimi