Rifugi, monito degli ambientalisti Rossini assicura: pronti a educare
TRENTO La differenza fra passato e presente, ad alta quota, si fa di anno in anno più marcata e pone di fronte a una domanda: bisogna andare incontro alle mutate aspettative del turista anche a costo di snaturare l’essenza della montagna? I rifugi devono rimanere punto di partenza o diventare la destinazione? La risposta contrappone chi vorrebbe preservare la frugalità della vita alpina (come il presidente Sat Claudio BAssetti, Corriere del Trentino di domenica) e chi crede doveroso cambiare certe abitudini, adattando i rifugi alle attese dei visitatori. Un dibattito tra chi vuole che il rifugio sia il via e chi lo vede come il traguardo.
Franco Tessadri, presidente di Mountain Wilderness, sostiene che «il turista si è abituato agli standard di città; crede che tutto gli sia dovuto, senza capire che già il servizio offerto richiede un impegno enorme, soprattutto in termini di messa in sicurezza».Sono sempre più irrealizzabili le pretese dei «nuovi frequentatori della montagna», e stonano con il contesto alpino: «C’è chi, giunto a rifugi d’alta quota, chiede di poter avere un collegamento ad internet. Assurdo che laddove si dovrebbe apprezzare la semplicità, venga invece richiesto il superfluo». Ma quella del wi-fi non è l’unica domanda avanzata dal turismo dei grandi numeri, «che vorrebbe docce prolungate, saune, pietanze ricercate e altri servizi tipicamente alberghieri».
Anche Maurizio Rossini, di Trentino Marketing, condivide la necessità di tenere in considerazione i limiti dell’ambiente montano, che vanno oltre l’etichetta di «moderno o vecchio». Allo stesso tempo, però, «proporre oggi gli stessi rifugi di trent’anni fa significherebbe chiudere gli occhi su una forma mentis che ormai dà per scontate certe comodità». «Nostra responsabilità — aggiunge Rossini — è informare ed educare i nuovi frequentatori della montagna a vivere l’ambiente alpino con consapevolezza». E fa un esempio: «Serve far capire che non è possibile, vista la siccità e la drammatica situazione dei ghiacciai, utilizzare quantità eccessive di acqua».
Più perentoria la posizione di Andrea Weiss (Apt Val di Fassa), secondo cui l’immagine «dura e pura» del rifugio per i soli alpinisti è ormai estinta. «È mutato l’utilizzo del rifugio: prima era il punto di partenza, oggi è la destinazione». Negli anni del turismo dei grandi numeri, caratterizzati dalla contaminazione tra stili di vita, serve piuttosto «accontentare», «intercettare l’interesse dei visitatori». E spiega che il lavoro del rifugista è mutato perché mutate sono le esigenze di chi usufruisce del servizio: «Non si chiede soltanto un tetto sotto cui passare la notte. Chi soggiorna ad alta quota dà al cibo un ruolo fondamentale, che qualifica la vacanza, perciò deve essere valorizzato».
Tessardi apre poi il capitolo dei rifiuti abbandonati lungo i sentieri dai turisti: «Sempre più abituati al comfort cittadino, si dimenticano che l’ambiente di montagna non può adattarsi a certi standard; non c’è un servizio di raccolta, è un compito di cui si fanno carico volontariamente i gestori dei rifugi». Anche Weiss critica i consumatori sbadati: «Serve educare comunicando la necessità di rispettare l’ambiente alpino, fragile e unico». Un messaggio difficile da veicolare, specialmente a valle, dove negli alberghi è possibile ottenere qualsiasi servizio; e ancora negli anni della pubblicità, fuorviante perché poco conforme alla realtà. «Un luogo di riflessione e sobrietà — conclude Tessadri — diviene con sempre più frequenza teatro dell’eccesso».