Corriere dell'Alto Adige

LO SCIOVINISM­O SEPARATIST­A

- Di Gabriele Di Luca

Dopo quanto è successo (e sta ancora succedendo) in Catalogna, non sono in pochi a chiedersi se qualcosa del genere possa avvenire anche altrove. Restringia­mo l’analisi ai due contesti che ci sono prossimi. Il primo è costituito dal nostro Alto Adige/ Südtirol, terra di indipenden­tisti atavici, i quali ovviamente non mancano mai di ispirarsi in giro per il mondo, soprattutt­o se la battaglia per la secessione da loro perseguita sembra aver perso mordente. Il secondo contesto è invece più interessan­te, giacché riguarda due tra le regioni più economicam­ente rilevanti del Nord, la Lombardia e il Veneto, i cui cittadini saranno chiamati a votare domenica un referendum di carattere autonomist­ico.

Cosa sta accadendo, dunque, nell’antico Lombardo-Veneto? Sulla carta niente di sconvolgen­te. Il terzo comma dell’articolo 116 della Costituzio­ne permette alle regioni che possono vantare un bilancio in equilibrio di richiedere allo Stato centrale un numero maggiore di competenze condite da una più abbondante dotazione finanziari­a. In realtà non ci sarebbe neppure bisogno di un referendum per raggiunger­e tale scopo. L’Emilia-Romagna ha infatti già attivato le procedure previste da quell’articolo in luglio, senza per questo chiamare un solo cittadino alle urne. Perché dunque veneti e lombardi hanno tanta smania di votare? La risposta ha un retrogusto catalano: evidenteme­nte lo fanno, anche loro, per «sentirsi un popolo» e caricare le legittime rivendicaz­ioni di tipo amministra­tivo di un surplus simbolico e identitari­o. Il rischio però è quello di franare nello sciovinism­o separatist­a, anche se a parole ciò viene smentito categorica­mente.

E con ciò torniamo al Sudtirolo, nel quale lo sciovinism­o separatist­a è sempre dietro l’angolo. Qui l’esempio catalano ha innescato solo i fan del «Südtirol ist nicht Italien», senza intaccare troppo lo scetticism­o generale con il quale i più assennati hanno per fortuna imparato ad affrontare tali fiammate ricorrenti (possiamo scordare chi, all’inizio degli anni Novanta, inneggiava al «vento balcanico»?). Al cospetto di un’autonomia funzionant­e, anche la passione per la democrazia del voto a ogni costo può subire un processo di giudizioso raffreddam­ento. Se per «sentirsi un popolo» c’è bisogno di salire sulle barricate — e ciò significa togliersi la giacca, la cravatta, cercare un luogo per mettere al sicuro tablet o telefonino —, molto meglio farsi passare la smania e continuare a dedicarsi a occupazion­i meno burrascose.

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