«Smart work», Thun apripista Il 30% lavora fuori ufficio
Il test per un giorno a settimana. Obiettivo: coinvolgere tutti
BOLZANO Se la nuova frontiera del lavoro è lo smart working, alla Thun di Bolzano giocano d’anticipo. Dopo il successo della sperimentazione partita un anno fa con un terzo dei lavoratori e un periodo pilota di otto mesi, ora l’idea è quella di ampliare la possibilità a tutto il personale. Gli obiettivi sono molteplici.
«Ottimizzare le risorse, razionalizzare gli spostamenti, risultare più attrattivi per il personale qualificato che viene da fuori provincia e rispettare l’ambiente riducendo l’impatto ambientale dei viaggi casa-lavoro per i dipendenti» spiega Gabriella Bernardi, direttore delle risorse umane di Thun.
Si tratta di una strategia proposta dalla stessa Bernardi, proveniente da grandi complessi industriali internazionali, «aziende fluide dove la presenza fisica diventa quasi un optional e dove l’importante non è tanto il presidio del posto di lavoro quanto il perseguimento di determinati obiettivi del singolo e dell’azienda stessa» prosegue Bernardi.
L’iniziativa si inserisce da un lato nell’ambito della polemica scaturita dallo studio Afi/Ipl sul welfare aziendale, che aveva spinto il presidente di Assoimprenditori Federico Giudiceandrea a riprendere gli autori dello studio, sottolineando come la fotografia scattata dallo studio fosse parziale e a volte fuorviante. E in effetti nello studio la Thun si inseriva fra le aziende prive di una contrattazione di secondo livello, eppure i dipendenti possono godere di una serie di benefit aziendali che poche concorrenti vantano: dall’angolo-cucina con frutta e verdura a disposizione dei dipendenti per uno smoothie come spuntino salutare ai calcio balilla «che scoraggiano i dipendenti dal riempire la pausa con una sigaretta» confessano alcuni tabagisti in forza al gruppo, dalle sedute di shiatsu in pausa pranzo per prevenire o combattere il mal di schiena all’asilo nido interaziendale pagato per due terzi a carico di Thun. E, ora, anche lo smart working.
Che tradotto significa «poter lavorare da casa o da fuori ufficio per un giorno a settimana — pur garantendo all’azienda la reperibilità in caso di urgenze — guadagnando di flessibilità, specialmente per le donne – che sono l’85% della nostra forza lavoro — che hanno figli e che possono in questo modo ricavare del tempo da dedicare alla cura della casa» spiega Bernardi. La scelta è stata supportata dalla dotazione al personale che ha aderito allo smart working di tutti gli strumenti per collaborare da remoto, dall’iPhone ai pc portatili, fino al nuovo sistema di comunicazione Google attraverso le conferenze di Hangout.
Per compensare la possibile tendenza all’individualismo che lo smart working può portare con sè e rinsaldare lo spirito di squadra l’azienda ha deciso di trasformare tutti gli uffici in open space. Anche questa scelta ha i suoi vantaggi di razionalizzazione, ad esempio «la diminuzione delle email inviate fra colleghi, che tendono invece a parlarsi più spesso a voce».
L’idea a medio termine è di «allargare questa possibilità a tutti i dipendenti dell’azienda, in modo da renderci sempre più flessibili e performanti» conclude Bernardi.