Gallerie Piedicastello Resistenza alla guerra
L’evento «J’accuse! 1914-1918: opposizione, rifiuto, protesta» Tre giorni di convegno internazionale con venti studiosi Antonelli: «Purtroppo la battaglia è più facile della pace»
Ferrandi Obiettivo? Parlare di un tema ignorato
«L a prima guerra mondiale cominciò come una festa d’estate, tutta gonne al vento e spalline dorate. Milioni di persone sventolavano i fazzoletti dal marciapiede mentre le piumate altezze imperiali, le serenità, i feldmarescialli e altri idioti del genere sfilavano per le strade delle principali città d’Europa alla testa dei loro scintillanti battaglioni. […] Nove milioni di cadaveri si contarono alla fine quando le bande si zittirono e le serenità cominciarono a scappare».
Il romanzo E Johnny prese il fucile venne scritto dal celebre sceneggiatore statunitense Dalton Trumbo nel 1938, diventando da subito – e per questo da subito censurato – il più importante romanzo antimilitarista (nel 1971 ne uscì il film), con il suo rifiuto della retorica patriottico-nazionalista e la condanna senza appello della guerra: «Non c’è niente di nobile nel morire. Non lasciatevi più ingannare quando vengono a battervi sulla spalla e vi dicono “Andiamo, dobbiamo combattere per la libertà” o per una qualsiasi altra parola, ce l’hanno sempre una parola. Non c’è niente di più importante della vita».
Parole simili a queste circolarono durante il primo conflitto mondiale (1914-1918) grazie a forze politiche, associazioni, militanti e intellettuali che manifestarono la loro assoluta contrarietà alla guerra, con atti politici, scritti, proteste, dimostrazioni e agitazioni. Minoranze inascoltate, minoranze anche oggi, a distanza di cent’anni, poco conosciute e poco studiate, dato il rilievo posto invece, spesso retoricamente, sul solo aspetto bellico del conflitto.
«È doveroso studiare e scrivere anche una storia della pace e dei pacifici, oltre a quella della guerra e dei guerrieri» ed è per questo che la Fondazione museo storico del Trentino ha organizzato alle Gallerie di Piedicastello per le giornate di domani, venerdì e sabato un convegno internazionale, «J’accuse! 1914-1918: opposizione, rifiuto, protesta», incentrato appunto su quelle forme di resistenza alla guerra, di neutralità e di pacifismo sorte durante gli anni del conflitto. Una scelta radicale quella della Fondazione, in controtendenza rispetto ad altre manifestazioni celebrative del centenario: «Il nostro obiettivo — spiega il direttore Giuseppe Ferrandi — è quello di mettere a fuoco un tema spesso ignorato o poco curato dalla storiografia, con pochissimi testi a disposizione; attraverso varie chiavi di lettura vogliamo interrompere il silenzio su coloro che si opposero alla guerra, superando quella visione retorica che vede nei conflitti del passato elementi fondativi e positivi. Vogliamo parlare meno dei cosiddetti eroi di guerra e più di quelle vittime che pagarono anche con il carcere o la morte il loro antimilitarismo».
Il convegno, curato da Quinto Antonelli, Bruna Bianchi, Giovanna Procacci e Mirko Saltori, ospiterà più di venti relatori tra studiosi italiani e internazionali (prevista la traduzione simultanea) e sarà diviso in cinque sessioni, ciascuna delle quali incentrata su uno specifico campo di indagine nel vasto mondo del pacifismo dell’epoca: socialismo e anarchismo, le confessioni religiose, i pacifismi e gli intellettuali, il neutralismo degli Stati e delle organizzazioni, protesta e agitazione fra le masse. Venerdì sera sarà inoltre messo in scena il dramma teatrale Spose di guerra della suffragista Marion Craig Wentworh, un classico del pacifismo femminista, rappresentato per la prima volta nel 1915 a New York.
Data la natura nazionale e internazionale del convegno, al Trentino sarà riservata un’unica relazione: «Stavolta non ci trentinizzeremo — annuncia Ferrandi — , un atto liberatorio: vogliamo spaziare e soprattutto respirare dopo aver inghiottito per troppo tempo nella nostra regione le tossine di polemiche stucchevoli; smettiamola di indossare divise e cappelli folkloristici, un gioco tragico che sottovaluta la portata storica di quello che è stata la Prima guerra mondiale».
Una dichiarazione d’intenti estendibile anche alla mostra «L’ultimo anno 1917 -1918» che verrà inaugurata alle Gallerie il primo dicembre alle 20.30, curata dallo storico Lorenzo Gardumi. Una mostra divisa in due sezioni, militari e civili, che mostrerà gli aspetti più cruenti e drammatici – e per questo più veritieri – del conflitto, attraverso foto, mappe, oggetti e filmati di fortissimo impatto, per i quali sarà necessario allertare i minori e le persone più sensibili. «Mostrando l’ultimo anno di guerra non ci soffermeremo – chiosa Ferrandi – su chi sia davvero entrato per primo a Trento il 3 novembre 1918 o questioni simili ma porremo invece l’attenzione su quei disgraziati, militari e civili, che subirono le violenze più terribili». Come il protagonista di E Johnny prese il fucile, il soldato diciannovenne Joe Bonham: gravemente ferito da un mortaio l’ultimo giorno della Grande guerra perde gli arti inferiori e superiori, rimane muto, cieco e sordo, in grado dunque solamente di pensare, testimone vivente (?) degli orrori della guerra. «Eppure nonostante tutto questo orrore e gli sforzi dei movimenti pacifisti – ci spiega Quinto Antonelli – vent’anni dopo il mondo ripiombò nel vortice della guerra e le minoranze che protestavano furono duramente represse. Purtroppo appare più facile fare la guerra che fare la pace». Lo storico pubblicherà a febbraio per Donzelli il suo prossimo libro, Cent’anni di grande Guerra, uno studio sulle visioni, le interpretazioni e le rappresentazioni del primo conflitto mondiale sorte in questi cento anni che ci separano da esso.