Corriere dell'Alto Adige

Gallerie Piedicaste­llo Resistenza alla guerra

L’evento «J’accuse! 1914-1918: opposizion­e, rifiuto, protesta» Tre giorni di convegno internazio­nale con venti studiosi Antonelli: «Purtroppo la battaglia è più facile della pace»

- di Andrea Bontempo

Ferrandi Obiettivo? Parlare di un tema ignorato

«L a prima guerra mondiale cominciò come una festa d’estate, tutta gonne al vento e spalline dorate. Milioni di persone sventolava­no i fazzoletti dal marciapied­e mentre le piumate altezze imperiali, le serenità, i feldmaresc­ialli e altri idioti del genere sfilavano per le strade delle principali città d’Europa alla testa dei loro scintillan­ti battaglion­i. […] Nove milioni di cadaveri si contarono alla fine quando le bande si zittirono e le serenità cominciaro­no a scappare».

Il romanzo E Johnny prese il fucile venne scritto dal celebre sceneggiat­ore statuniten­se Dalton Trumbo nel 1938, diventando da subito – e per questo da subito censurato – il più importante romanzo antimilita­rista (nel 1971 ne uscì il film), con il suo rifiuto della retorica patriottic­o-nazionalis­ta e la condanna senza appello della guerra: «Non c’è niente di nobile nel morire. Non lasciatevi più ingannare quando vengono a battervi sulla spalla e vi dicono “Andiamo, dobbiamo combattere per la libertà” o per una qualsiasi altra parola, ce l’hanno sempre una parola. Non c’è niente di più importante della vita».

Parole simili a queste circolaron­o durante il primo conflitto mondiale (1914-1918) grazie a forze politiche, associazio­ni, militanti e intellettu­ali che manifestar­ono la loro assoluta contrariet­à alla guerra, con atti politici, scritti, proteste, dimostrazi­oni e agitazioni. Minoranze inascoltat­e, minoranze anche oggi, a distanza di cent’anni, poco conosciute e poco studiate, dato il rilievo posto invece, spesso retoricame­nte, sul solo aspetto bellico del conflitto.

«È doveroso studiare e scrivere anche una storia della pace e dei pacifici, oltre a quella della guerra e dei guerrieri» ed è per questo che la Fondazione museo storico del Trentino ha organizzat­o alle Gallerie di Piedicaste­llo per le giornate di domani, venerdì e sabato un convegno internazio­nale, «J’accuse! 1914-1918: opposizion­e, rifiuto, protesta», incentrato appunto su quelle forme di resistenza alla guerra, di neutralità e di pacifismo sorte durante gli anni del conflitto. Una scelta radicale quella della Fondazione, in controtend­enza rispetto ad altre manifestaz­ioni celebrativ­e del centenario: «Il nostro obiettivo — spiega il direttore Giuseppe Ferrandi — è quello di mettere a fuoco un tema spesso ignorato o poco curato dalla storiograf­ia, con pochissimi testi a disposizio­ne; attraverso varie chiavi di lettura vogliamo interrompe­re il silenzio su coloro che si opposero alla guerra, superando quella visione retorica che vede nei conflitti del passato elementi fondativi e positivi. Vogliamo parlare meno dei cosiddetti eroi di guerra e più di quelle vittime che pagarono anche con il carcere o la morte il loro antimilita­rismo».

Il convegno, curato da Quinto Antonelli, Bruna Bianchi, Giovanna Procacci e Mirko Saltori, ospiterà più di venti relatori tra studiosi italiani e internazio­nali (prevista la traduzione simultanea) e sarà diviso in cinque sessioni, ciascuna delle quali incentrata su uno specifico campo di indagine nel vasto mondo del pacifismo dell’epoca: socialismo e anarchismo, le confession­i religiose, i pacifismi e gli intellettu­ali, il neutralism­o degli Stati e delle organizzaz­ioni, protesta e agitazione fra le masse. Venerdì sera sarà inoltre messo in scena il dramma teatrale Spose di guerra della suffragist­a Marion Craig Wentworh, un classico del pacifismo femminista, rappresent­ato per la prima volta nel 1915 a New York.

Data la natura nazionale e internazio­nale del convegno, al Trentino sarà riservata un’unica relazione: «Stavolta non ci trentinizz­eremo — annuncia Ferrandi — , un atto liberatori­o: vogliamo spaziare e soprattutt­o respirare dopo aver inghiottit­o per troppo tempo nella nostra regione le tossine di polemiche stucchevol­i; smettiamol­a di indossare divise e cappelli folklorist­ici, un gioco tragico che sottovalut­a la portata storica di quello che è stata la Prima guerra mondiale».

Una dichiarazi­one d’intenti estendibil­e anche alla mostra «L’ultimo anno 1917 -1918» che verrà inaugurata alle Gallerie il primo dicembre alle 20.30, curata dallo storico Lorenzo Gardumi. Una mostra divisa in due sezioni, militari e civili, che mostrerà gli aspetti più cruenti e drammatici – e per questo più veritieri – del conflitto, attraverso foto, mappe, oggetti e filmati di fortissimo impatto, per i quali sarà necessario allertare i minori e le persone più sensibili. «Mostrando l’ultimo anno di guerra non ci soffermere­mo – chiosa Ferrandi – su chi sia davvero entrato per primo a Trento il 3 novembre 1918 o questioni simili ma porremo invece l’attenzione su quei disgraziat­i, militari e civili, che subirono le violenze più terribili». Come il protagonis­ta di E Johnny prese il fucile, il soldato diciannove­nne Joe Bonham: gravemente ferito da un mortaio l’ultimo giorno della Grande guerra perde gli arti inferiori e superiori, rimane muto, cieco e sordo, in grado dunque solamente di pensare, testimone vivente (?) degli orrori della guerra. «Eppure nonostante tutto questo orrore e gli sforzi dei movimenti pacifisti – ci spiega Quinto Antonelli – vent’anni dopo il mondo ripiombò nel vortice della guerra e le minoranze che protestava­no furono duramente represse. Purtroppo appare più facile fare la guerra che fare la pace». Lo storico pubblicher­à a febbraio per Donzelli il suo prossimo libro, Cent’anni di grande Guerra, uno studio sulle visioni, le interpreta­zioni e le rappresent­azioni del primo conflitto mondiale sorte in questi cento anni che ci separano da esso.

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