L’esperienza di Zaffuto (Addiopizzo) primo ospite domani a «Sapere e Futuro» Quel calcio alla mafia
ra la mafia deve affrontare mille rivoltosi, il pizzo significa richiesta di sottomissione, accettare la signoria territoriale. Addiopizzo ha messo in atto una sorta di insubordinazione al potere costituito, è un’intera città che culturalmente dà un calcio alla mafia».
È un racconto rigoroso e appassionato quello con cui Edoardo Zaffuto ci spiega l’esperienza di Addiopizzo, l’associazione che combatte la mafia, di cui egli è uno dei fondatori.
«Un’associazione di volontariato nata dal basso, e quasi per caso, a Palermo — esordisce —. È il 29 giugno 2004 quando la città si risveglia con il centro storico tappezzato di adesivi listati a lutto, riportanti la scritta: “Un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità”. Sono adesivi attaccati in modo anonimo e clandestino da un gruppo di studenti e giovani professionisti per sfidare la collettività stessa e affermare: “Non è possibile accettare che gli esercizi commerciali paghino il pizzo”. Un modo per ribadire. “Noi non ci stiamo a far parte di un sistema in cui culturalmente il pizzo è accettato dalla città, nella migliore delle ipotesi come un’istituzione, nella peggiore come una schiavitù senza via di uscita”».
Di questo si parlerà domani alle 9 presso l’Istituto «Martini» di Mezzolombardo in un incontro dal titolo Addiopizzo: la Sicilia che si ribella alla Mafia. A introdurre Zaffuto ci sarà Giuliana Adamo docente al Trinity College di Dublino.
Si tratta del primo incontro per l’anno 2017-2018, organizzato dall’Associazione Piazza del Mondo all’interno della serie Sapere e Futuro che ha riscosso un grande successo nell’anno passato. L’iniziativa è realizzata con il contributo di Fondazione Caritro, Consorzio Bim dell’Adige, con la collaborazione di Muse e Associazione culturale MotoContrario. Media partner dell’iniziativa Corriere del Trentino.
L’intento di liberarsi del pizzo auspicato da Addiopizzo cozzava però contro la realtà, e Libero Grassi, ucciso nel 1991 da Cosa Nostra dopo essersi opposto proprio a una richiesta di pizzo, costituiva un simbolo di tale sistema consolidato.
«Non c’erano dunque esempi positivi ma piuttosto di sconfitta per liberarsi da quella che va considerata come un’inclinazione culturale, un atteggiamento della città stessa, propensa a ritenere il pizzo “normale” e accettabile socialmente» prosegue Zaffuto. il
In questo stato di cose, «l’adesivo ha dato il via ad una rivoluzione culturale, iniziata con un atto di guerriglia comunicativa, messo in atto per più notti. Il messaggio sotteso era: “Svegliatevi, il pizzo è un problema di tutti”».
Ci si doveva cioè rendere conto che con il pizzo si attuava un meccanismo sottile: i soldi che i commercianti davano alla mafia erano quelli ricevuti dal cittadino. Indirettamente, quindi, era ogni cittadino a versarli.
«Questa consapevolezza ha rappresentato un passaggio essenziale per la responsabilizzazione della collettività sul problema di un sistema estorsivo da disarticolare» — osserva ancora.
Dall’atto di nascita siglato da un gruppo di amici con gli adesivi, nel giro di un anno è nata l’associazione Addiopizzo. «Siamo usciti dall’anonimato e abbiamo dato il via a una campagna di consumo critico contro il pizzo sotto lo slogan “pago chi non paga”. Il consumatore si pone così a sostegno di chi si rifiuta di pagare, invitandolo a denunciare».
A due anni dal lancio della campagna, sono cento i negozi a Palermo che aderiscono a «mafia free». Sostenuti dalla massa critica dei consumatori, pronti a supportarli anche con i loro acquisti, nel 2017 i negozi sono diventati mille.
«Una crescita lenta — riflette — ma un barlume di speranza così forte non si era mai visto e per la prima volta la collettività si è dimostrata pronta a stare con i commercianti. Il punto è che la mafia quando capisce che il commerciante è sostenuto, fa un passo indietro. All’inizio della campagna ha cercato di utilizzare i soliti sistemi, in particolare nel 2007 ha dato alle fiamme un magazzino di un’impresa che faceva parte di Addiopizzo».
La reazione della città però in quel caso fu straordinaria e le associazioni fecero pressione per utilizzare la legge per il rimborso delle vittime della mafia. Il magazzino venne così ricostruito e consegnato all’impresa. «Il successivo arresto di Salvatore Lo Piccolo dette un sonoro tonfo alla mafia, che ora evita sistematicamente gli esercizi con l’adesivo Addiopizzo sulle vetrine» — precisa Zaffuto sottolineando che l’importante «è la rivoluzione culturale in atto, che sta avanzando notevolmente grazie alle nuove generazioni e alla formazione compiuta dalle scuole. Il messaggio che ne deriva è che insieme si vince. Siamo riusciti, e continuiamo faticosamente a trovare strategie anche con l’immaginazione e questa operazione di mettere insieme intelligenze per ideare soluzioni innovative vale per ogni contesto».
I ragazzi che si immettono nel mondo del commercio hanno ora un atteggiamento radicalmente diverso. «Questi tredici anni hanno portato un cambiamento di mentalità generazionale. Ci sarà presto una nuova classe dirigente formata da persone cresciute in questo contesto che sapranno dire “no” alla mafia» — conclude.
In continuità con i temi affrontati, domenica alle 11 presso la Fondazione Caritro, a Trento, si terrà il concerto Incanto e ribellioni del MotoContrario Ensemble.
Coraggio Stiamo crescendo, anche se lentamente, contro il sistema