UNA CONCESSIONE CON PIÙ VINCOLI
Molto bene! Ora siamo finalmente vicini alla nuova concessione per l’A22, che ragionevolmente lo Stato assegnerà nei primi mesi del 2018, quando sarà concluso il percorso legislativo della finanziaria e i residui adempimenti amministrativi. Merito di tutti quanti si sono impegnati per arrivare fin qui.
C’è stato un grande lavoro corale, a partire dal «miracolo di Natale» 1996, quando Ferdinand Willeit, allora presidente dell’Autostrada, e tutti i soci — da Brennero a Modena — riuscirono a far scrivere in una legge italiana il loro sogno. Quello di un’arteria autostradale che finanzia (da sola) una ferrovia strategica per l’Europa. Quello di una società per azioni che rinuncia ai suoi utili per il bene comune. In cambio volevano — e «politicamente» avevano ricevuto un avallo — cinquant’anni di concessione dopo il 2005, con scadenza al 2055. Ma la legge garantì solo la possibilità di accantonare gli utili in esenzione d’imposta e la proprietà del «tesoretto». I fiduciari erano: Romano Prodi, al suo primo governo, e Neil Kinnock (Regno Unito), commissario ai Trasporti della Ue. Poi le cose andarono diversamente, come sappiamo. Per beghe italiane, specie con D’Alema, e per contrasti europei, prevalentemente di marca francese.
Noi arriviamo ora, dopo un percorso di due decenni, a ottenere 30 anni con scadenza 2044, ed esultare è d’obbligo. Ci sono tuttavia più vincoli: la società deve diventare pubblica; la concessione non è della società ma degli enti pubblici soci; il carico sul bilancio degli adempimenti concessori è gravoso, al limite del sopportabile. Con un risvolto poco visibile: qualora la società non ce la facesse, il «rosso» eventuale sarebbe a carico della fiscalità generale. Cioè pagheremmo noi. C’è anche da mettere in conto la minore efficienza di una società pubblica rispetto a quella — sia pure parzialmente — privata. Specialmente nella gestione del personale.
Rimane aperta infine la questione dei soci privati: vanno liquidati prima del rilascio della concessione da parte del governo e c’è rimasto poco tempo. Non è detto che un prossimo governo lo farebbe, o che lo farebbe così. Quindi la posizione negoziale dei privati è forte: gli enti pubblici devono acquistare per forza e di corsa. Credo che abbia ragione Hans Berger, senatore Svp, quando dice: «La politica non si intrometta nei passaggi tecnici che seguiranno l’approvazione del decreto fiscale. Solo così entro gennaio potremo dare atto alla concessione in-house».