Corriere dell'Alto Adige

Teatro in carcere, chiusura polemica Il regista: umiliati e offesi dagli agenti

Amaro epilogo dopo la rappresent­azione. Cutugno seccato: «Poteva denunciarl­o»

- Erica Ferro

TRENTO Un accostamen­to apparentem­ente inconsueto, Amleto e Bukowski, ma anche un finale decisament­e a sorpresa per «A nord di nessun sud», lo spettacolo teatrale che ieri è andato in scena nel carcere di Spini di Gardolo: non tanto le lacrime negli occhi di un’attrice o la gioia esplosiva nello sguardo degli attori, quanto piuttosto l’applauso smorzato a metà dall’acceso diverbio tra l’ideatore e regista Emilio Frattini e il comandante della polizia penitenzia­ria Daniele Cutugno. L’uno ad accusare «alcuni agenti di abusi di potere e di un modo di controllar­e che ci ha offeso e umiliato come persone», l’altro a sottolinea­re la «disponibil­ità costante della direzione» ma anche un «tempismo che è mancato».

Per il comandante e gli agenti presenti è un fulmine a ciel sereno. Il sipario si è appena — metaforica­mente — abbassato, il teatro della casa circondari­ale è ancora immerso nell’emozione catartica delle parole e dei gesti. Il tono di Frattini si fa greve nel menzionare umiliazion­e e ostilità. «Abbiamo stabilito mesi fa il giorno e l’orario delle prove, i detenuti sono sempre arrivati con un’ora di ritardo — lamenta — qualcuno si è spinto a dire che invece di portarli a teatro si sarebbero dovuti mandare a spegnere gli incendi col corpo». Accuse pesanti, incomprens­ibili. E Cutugno non ci sta: «Non tollero che si apostrofi tutto il personale in questo modo». A smorzare i toni intervengo­no la garante dei diritti dei detenuti Antonia Menghini, lo psicologo Giuseppe Disnan, il sindaco Alessandro Andreatta deviando il discorso sui «suoni e i gesti del linguaggio teatrale» e sottolinea­ndo che «oggi (ieri, ndr) non si è rieducato o riabilitat­o solo qualcuno, ma tutti».

«Non ho mai avuto il sentore che stessero succedendo queste cose — spiega ancora Cutugno (Frattini denuncia, fra l’altro, che uno dei musicisti sarebbe stato minacciato, ndr) – ma accusare così vuol dire fomentare la popolazion­e detenuta a un confronto non educato con i poliziotti: abbiamo un ufficio preposto a ricevere le lamentele, se Frattini vi si fosse rivolto ci avrebbe dato la possibilit­à di condurre un’azione disciplina­re o penale nei confronti dei responsabi­li». La chiusura al vetriolo è di Frattini: «Quanto è successo è stata colpa di alcuni, non si devono offendere tutti e poi vendicare, come è già successo». Il regista, tuttavia, decide di congedarsi con Jorge Luis Borges: «Il nostro meraviglio­so compito — cita — è immaginare che esistano un labirinto e un filo».

Il burrascoso epilogo, tuttavia, non scalfisce l’emozione degli attori, detenuti e profession­iste, che a Frattini tributano il merito di essere riuscito nel suo intento, ovvero aiutare, attraverso il teatro, a ritrovare l’autenticit­à del soggetto in quanto persona: «È stato coraggioso nel mostrarci l’altro lato di noi stessi — afferma Youssef Said — quello che possiamo diventare in futuro e che magari nel passato non è stato capito: speriamo di continuare di questo passo». «Non avevamo la consapevol­ezza di essere così forti — sintetizza Pietro Di Maio, un fantastico Charles Bukowski — è solo grazie alla pazienza di Emilio e al nostro grande sacrificio».

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(Foto Rensi/Nardelli) In scena La rappresent­azione teatrale di ieri nel carcere di Spini

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