Shopping natalizio, c’è lo sciopero
Federdistribuzione rifiuta il contratto: i commessi venerdì incrociano le braccia
Con uno sciopero nazionale di otto ore, i lavoratori contestano il rifiuto di Federdistribuzione di applicare il nuovo contratto nazionale del 2015 ai lavoratori del settore. All’agitazione proclamata per venerdì hanno aderito anche i sindacati confederali della regione — Filcams Cgil, Fisascat Cisl, Uiltucs e Asgb — che si sono dati appuntamento a Trento: «Con il mancato accordo, c’è stata una grossa perdita di valore d’acquisto», spiegano i disindacati.
Uno sciopero nazionale di otto ore — il quarto negli ultimi tre anni — per contestare il rifiuto di Federdistribuzione di applicare il nuovo contratto nazionale del 2015 ai lavoratori del settore. All’agitazione proclamata per venerdì hanno aderito anche i sindacati confederali della regione — Filcams Cgil, Fisascat Cisl, Uiltucs e Asgb — che si sono dati appuntamento alle 9,15 in via Segantini a Trento. Obiettivo: riaprire la discussione sul contratto nazionale della distribuzione, rinnovato nel 2015 ma tuttora inapplicato dai principali attori del settore, molti dei quali presenti anche in regione con 5.000 addetti solo in provincia di Bolzano. «Gli operatori del settore fanno ancora riferimento al contratto stipulato nel 2011 e scaduto nel 2013. Questo ha comportato una perdita di valore d’acquisto nei salari dei lavoratori, nonché una perdita netta di denaro per ciascun addetto che si attesta sui 1.170 euro l’anno per un quarto livello» sottolinea Antonella Costanzo, segretaria generale di categoria per la Cgil/Agb. Si tratta della somma annua che un lavoratore di IV livello percepisce in più qualora il datore di lavoro si attenga a quanto concordato nel contratto nazionale stipulato nel 2015, rispetto a quella percepita da coloro i cui datori di lavoro continuano invece ad attenersi alle somme stabilite nel contratto scaduto nel 2013.
Non sono mancati anche casi in cui i singoli datori di lavoro hanno cercato di concordare incrementi salariali ad personam, per un ammontare di 570 euro per ciascun lavoratore, in una sorta di mediazione autogestita. «Per evitare che passasse il concetto della liceità di una contrattazione con i singoli lavoratori abbiamo scoraggiato gli interessati ad aderire: una rinuncia nell’immediato per cercare di ottenere un risultato di categoria nel medio periodo» prosegue Costanzo, che punta il dito contro Aspiag anche per «aver smesso di versare le quote previste agli enti bilaterali, sottraendo ai lavoratori la possibilità di accedere a quelle prestazioni di welfare per le quali hanno pagato».
In Alto Adige i principali responsabili di questa situazione sono, stando alla denuncia dei sindacati, innanzitutto proprio Aspiag — che conta 1.600 lavoratori in provincia — ma anche Brico Center, Kiko, Metro Dolomiti (Maxi C&C), Metro Cash&Carry, Ovs, Profumeria Limoni e Zara. I sindacati chiedono di fare presto. «Più tempo passa, più sarà difficile trovare un accordo per recuperare i fondi persi. Esiste inoltre un fortissimo rischio di dumping retributivo» rimarca Angelika Carfora per la Uiltucs. È questa la motivazione che ha spinto i confederali a scendere in piazza questo venerdì, proprio con l’obiettivo di muovere le acque e cercare di garantire ai lavoratori i diritti che vengono loro negati.
«Non va poi dimenticato che alla beffa di non percepire quanto spetta loro, i lavoratori si trovano anche in condizioni difficili, con domeniche e festività sottratte alla famiglia per onorare gli impegni aziendali» aggiunge Ulli Egger della Fisascat Cisl/Sgb, supportata dal collega Alex Piras dell’Asgb. Da un lato i lavoratori hanno la possibilità di ricorrere come singoli — con l’appoggio del sindacato di riferimento — al tribunale del lavoro per vedere riconosciuti i propri diritti. «In molti casi c’è stata una vittoria» ricorda Carfora. L’idea è però quella di unire tutti i lavoratori in una massa critica capace di spingere le aziende a cambiare linea, riconoscendo a tutti il trattamento salariale previsto dal contratto.