Dzenana deve rimane in carcere «Venne ripresa dalle telecamere»
Delitto di Rasun, per la Cassazione il quadro indiziario è fondato
La Corte di Cassazione BOLZANO ha reso note le motivazioni con le quali, lo scorso 30 novembre, ha respinto la richiesta di revoca della custodia cautelare di Dzenana Mangafic, la donna di 57 anni di Serajevo in carcere l’omicidio di Rasun Anterselva. Gli avvocati della donna avevano infatti presentato ricorso in Cassazione, per chiedere la scarcerazione della donna che, in attesa di processo, continua a dichiararsi innocente per la morte del suo ex marito, Kurt Huber, il disabile di 71 anni ucciso a coltellate a Rasun di Sotto il 4 dicembre 2016. Gli inquirenti sospettano che l’omicidio sarebbe da collegare a problemi di soldi da parte della donna, ma secondo la difesa non vi sarebbero gravi indizi di colpevolezza tali da giustificare la custodia cautelare in carcere. La Cassazione spiega che il «compendio indiziario nei confronti dell’indagata» sia in realtà sufficiente a giustificare la custodia cautelare della donna. In particolare emergono nuovi importanti dettagli dell’inchiesta: una telecamera a circuito chiuso aveva ripreso l’ingresso della casa comunale di Rasun, all’interno della quale avvenne l’omicidio. E le immagini hanno smontato l’alibi principale fornito da Dzenana Mangafic, la quale aveva affermato di aver visto un uomo con un cappello nero allontanarsi dall’abitazione dell’ex marito in un orario compatibile con l’omicidio. «La presenza di tale individuo — osserva la Cassazione — non veniva tuttavia ripresa dalle telecamere installate a pochi metri dall’abitazione. L’indagata veniva invece ripresa dalle stesse telecamere mentre si allontanava dalla casa con due sacchi di plastica, uno dei quali non veniva più ritrovato». Il sospetto degli inquirenti è che uno dei due sacchi potesse contenere degli oggetti riconducibili all’omicidio. La Cassazione giudica inoltre «sfavorevole all’indagata» anche due intercettazioni ambientali nella quale si vede la donna mimare l’atto di un accoltellamento e, successivamente, dire: «Io che cosa ho fatto. Mi uccido anche io».