LO SGUARDO OLTRE I DIVIETI
Ho chiesto a mio figlio, che ha 17 anni e (beato lui) pratica con estrema disinvoltura il crossover culturale, di spiegarmi perché i suoi coetanei considerano positivamente quello che in tedesco si dice «sich vollsaufen» e in italiano «ubriacarsi». Le due espressioni, mi dice ancora mio figlio, non sono esattamente corrispondenti. Nel primo caso, il riempirsi di alcol fino a scoppiare (questa sarebbe la traduzione letterale) implica sempre un
habitus, ossia qualcosa di collettivo, che difficilmente potrebbe essere fatto in completa solitudine, come invece può accadere attivando il campo semantico della seconda parola. Sfumature, che potrebbero evidenziare una differente percezione sociale di tale pratica nel nostro contesto etnicamente frammentato: i tedeschi berrebbero molto di più degli italiani perché, per loro, la sbronza in comune è qualcosa di sostanzialmente accettato, di attraente, quasi indispensabile per far parte del «gruppo» e sentirsi più «cool». In realtà simili differenze sono ormai molto sfumate, posto ci siano mai state, quindi dobbiamo piuttosto chiederci come sarebbe possibile inibire o almeno limitare una tendenza complessiva che talvolta assume proporzioni davvero gravi. L’abbiamo visto e lo vediamo in occasioni come quelle fornite da grandi feste, raduni o — per richiamarci alla cronaca recente — il Carnevale. Quando parliamo di un habitus, vale a dire di memoria incorporata, sappiamo che mutare il dispositivo alla base di certi comportamenti diventa un’operazione molto difficile, che non può essere eseguita semplicemente auspicandolo o, come qualcuno pensa ogni volta di fare, predisponendo dei divieti (il sindaco di Terlano, Klaus Runer, ha per esempio annunciato di voler cancellare la prossima edizione del Carnevale nel suo paese). La repressione, anzi, potrebbe persino inasprire il ricorso all’additivo della «trasgressione della legge», utile solo a traslare e intensificare gli effetti nefasti.
Esiste allora uno sbocco più ragionevole (ed efficace) della politica dei divieti che penalizza tutti indiscriminatamente? Sicuramente sì, anche se si tratta di imbastire un percorso lungo, fatto di un coinvolgimento stratificato e a più voci tra le istituzioni e le agenzie formative — dalla famiglia alla scuola — senza dimenticare i responsabili degli esercizi commerciali o dei locali pubblici, i quali dovrebbero anteporre la cura della salute agli aspetti legati al profitto.