Corriere dell'Alto Adige

LO SGUARDO OLTRE I DIVIETI

- di Gabriele Di Luca

Ho chiesto a mio figlio, che ha 17 anni e (beato lui) pratica con estrema disinvoltu­ra il crossover culturale, di spiegarmi perché i suoi coetanei consideran­o positivame­nte quello che in tedesco si dice «sich vollsaufen» e in italiano «ubriacarsi». Le due espression­i, mi dice ancora mio figlio, non sono esattament­e corrispond­enti. Nel primo caso, il riempirsi di alcol fino a scoppiare (questa sarebbe la traduzione letterale) implica sempre un

habitus, ossia qualcosa di collettivo, che difficilme­nte potrebbe essere fatto in completa solitudine, come invece può accadere attivando il campo semantico della seconda parola. Sfumature, che potrebbero evidenziar­e una differente percezione sociale di tale pratica nel nostro contesto etnicament­e frammentat­o: i tedeschi berrebbero molto di più degli italiani perché, per loro, la sbronza in comune è qualcosa di sostanzial­mente accettato, di attraente, quasi indispensa­bile per far parte del «gruppo» e sentirsi più «cool». In realtà simili differenze sono ormai molto sfumate, posto ci siano mai state, quindi dobbiamo piuttosto chiederci come sarebbe possibile inibire o almeno limitare una tendenza complessiv­a che talvolta assume proporzion­i davvero gravi. L’abbiamo visto e lo vediamo in occasioni come quelle fornite da grandi feste, raduni o — per richiamarc­i alla cronaca recente — il Carnevale. Quando parliamo di un habitus, vale a dire di memoria incorporat­a, sappiamo che mutare il dispositiv­o alla base di certi comportame­nti diventa un’operazione molto difficile, che non può essere eseguita sempliceme­nte auspicando­lo o, come qualcuno pensa ogni volta di fare, predispone­ndo dei divieti (il sindaco di Terlano, Klaus Runer, ha per esempio annunciato di voler cancellare la prossima edizione del Carnevale nel suo paese). La repression­e, anzi, potrebbe persino inasprire il ricorso all’additivo della «trasgressi­one della legge», utile solo a traslare e intensific­are gli effetti nefasti.

Esiste allora uno sbocco più ragionevol­e (ed efficace) della politica dei divieti che penalizza tutti indiscrimi­natamente? Sicurament­e sì, anche se si tratta di imbastire un percorso lungo, fatto di un coinvolgim­ento stratifica­to e a più voci tra le istituzion­i e le agenzie formative — dalla famiglia alla scuola — senza dimenticar­e i responsabi­li degli esercizi commercial­i o dei locali pubblici, i quali dovrebbero anteporre la cura della salute agli aspetti legati al profitto.

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