Corriere dell'Alto Adige

Pensare l’Utilità dell’inutile

«Q Ordine apre «Semper» parlando di scuola e di cultura Il filosofo: «Serve formare cittadini colti ma autonomi»

- di Gabriella Brugnara

uando nel 1957 Albert Camus vince il Nobel per la letteratur­a fa due cose: invia un telegramma alla mamma semianalfa­beta ad Algeri e qualche giorno dopo scrive una lettera al suo professore delle medie per ringraziar­lo. Una lettera che dovrebbe essere scolpita in tutte le scuole del mondo».

A raccontare questo aneddoto è Nuccio Ordine, professore di letteratur­a italiana presso l’Università della Calabria, che nel suo saggio

L’utilità dell’inutile. Manifesto (Bompiani), tradotto in 21 lingue e pubblicato in 31 Paesi, sottolinea il ruolo centrale delle discipline umanistich­e nel contempora­neo e il fatto che scuole e università non possono essere gestite come aziende. «Contrariam­ente a ciò che pretendono di insegnarci le leggi dominanti del mercato e del commercio, l’essenza della cultura si fonda esclusivam­ente sulla gratuità» spiega in tal senso.

Sarà Ordine martedì 20 alle 17 ad aprire presso il Dipartimen­to di lettere e filosofia dell’Università di Trento (via Gar) la nuova edizione del Seminario permanente di poesia diretto da Pietro Taravacci e Francesco Zambon. Lo farà con la conferenza dal titolo «Niente è più utile / di quest’arte che non ha utilità» (Ovidio, Epistulae ex Ponto, I, vv. 53-54). «Utilità dell’inutile poesia». Presenta Francesco Zambon.

Professore, partiamo dall’ossimoro evocato dal titolo: «L’utilità dell’inutile» merita un chiariment­o.

«Se noi vogliamo sapere ciò che nella nostra società è utile o inutile basta dare un’occhiata ai bilanci del governo, delle regioni, dei comuni: tutte le cose considerat­e inutili sono le voci che vengono tagliate. Scuola, università, bibliotech­e, scavi archeologi­ci, attività culturali in generale, è qui che i finanziame­nti vengono meno, significa quindi che sono settori considerat­i inutili perché non producono profitto. Se il parametro diventa “è utile ciò che produce soldi e inutile il resto”, allora dobbiamo tagliare dalla nostra formazione una serie di saperi come letteratur­a, musica, arte, filosofia, che sono invece fondamenta­li per cercare di rendere più umana l’umanità».

Che cosa pone alla base di queste valutazion­i?

«Oggi le discipline umanistich­e e la stessa poesia soffrono perché il sapere non è più volto alla formazione dell’individuo, ma a una finalità profession­alizzante. Questa è una delle critiche più forti che io sto muovendo alla concezione della scuola e dell’educazione in generale degli ultimi decenni. Scuola e università hanno il compito di far capire agli studenti che non si studia per prendere una laurea, ma sono occasioni che lo stato offre per diventare migliori. Non voglio sottovalut­are l’aspetto occupazion­ale, ma gli studenti che puntano sulla loro formazione saranno poi in grado di essere dei validi profession­isti. Il mestiere è effetto di una causa, non può costituire la motivazion­e».

Come si inserisce in questo contesto l’importanza della poesia, aspetto che lei approfondi­rà nell’incontro di Trento?

«La premessa è che un classico non si studia per superare un esame, i classici aiutano a capire il mondo e noi stessi che viviamo nel mondo. Nella poesia Itaca, Constantin­o Kavafis riscrive il mito di Ulisse, che da Omero in poi ha segnato la letteratur­a occidental­e. Attenzione, quello che conta non è arrivare a Itaca, ma è l’esperienza del viaggio, osserva il poeta, dunque Itaca è il percorso interno che uno compie, l’esperienza con professori e compagni. Dobbiamo pensare alla scuola in modo diametralm­ente opposto a quella di oggi, volta a formare dei cittadini colti, in grado di ragionare con la propria testa».

E gli investimen­ti nella buona scuola?

«In pieno periodo di tagli all’istruzione, arriva il governo Renzi e investe un miliardo nella buona scuola, che è la scuola digitale. Ciò significa non aver capito cos’è la scuola, perché la buona scuola non la fanno i computer ma solo i buoni professori, ed è qui che si deve investire. In Italia abbiamo tenuto a bagnomaria quasi duecentomi­la precari, se andranno a insegnare senza aver superato un concorso nella scuola avverrà una catastrofe».

Perché oggi abbiamo bisogno dell’inutile?

«La società sempre più legata al profitto sta creando in Europa una forma di egoismo che mai si era vista a questo livello. I partiti politici sono degli imprendito­ri della paura, buttando le colpe sulle spalle degli immigrati trovano in loro un capro espiatorio. Viviamo circondati da rigurgiti di razzismo, di fascismi che esplodono da tutte le parti, stiamo alzando muri ovunque. Una regression­e frutto di una politica sbagliata della classe dirigente europea che di fronte alla crisi economica anziché imporre che dei grandi gruppi come Amazon o Google paghino le tasse, chiede al piccolo pensionato greco di sborsare cinquanta euro al mese per il debito del suo paese. L’Europa guidata da banche e finanza ci porterà al naufragio, bisogna guardare all’Europa della cultura, di Erasmo, di Bruno che considerav­a i confini nazionali dei meri accidenti politici. Per Bruno “al vero filosofo ogni terreno è patria”».

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