Pensare l’Utilità dell’inutile
«Q Ordine apre «Semper» parlando di scuola e di cultura Il filosofo: «Serve formare cittadini colti ma autonomi»
uando nel 1957 Albert Camus vince il Nobel per la letteratura fa due cose: invia un telegramma alla mamma semianalfabeta ad Algeri e qualche giorno dopo scrive una lettera al suo professore delle medie per ringraziarlo. Una lettera che dovrebbe essere scolpita in tutte le scuole del mondo».
A raccontare questo aneddoto è Nuccio Ordine, professore di letteratura italiana presso l’Università della Calabria, che nel suo saggio
L’utilità dell’inutile. Manifesto (Bompiani), tradotto in 21 lingue e pubblicato in 31 Paesi, sottolinea il ruolo centrale delle discipline umanistiche nel contemporaneo e il fatto che scuole e università non possono essere gestite come aziende. «Contrariamente a ciò che pretendono di insegnarci le leggi dominanti del mercato e del commercio, l’essenza della cultura si fonda esclusivamente sulla gratuità» spiega in tal senso.
Sarà Ordine martedì 20 alle 17 ad aprire presso il Dipartimento di lettere e filosofia dell’Università di Trento (via Gar) la nuova edizione del Seminario permanente di poesia diretto da Pietro Taravacci e Francesco Zambon. Lo farà con la conferenza dal titolo «Niente è più utile / di quest’arte che non ha utilità» (Ovidio, Epistulae ex Ponto, I, vv. 53-54). «Utilità dell’inutile poesia». Presenta Francesco Zambon.
Professore, partiamo dall’ossimoro evocato dal titolo: «L’utilità dell’inutile» merita un chiarimento.
«Se noi vogliamo sapere ciò che nella nostra società è utile o inutile basta dare un’occhiata ai bilanci del governo, delle regioni, dei comuni: tutte le cose considerate inutili sono le voci che vengono tagliate. Scuola, università, biblioteche, scavi archeologici, attività culturali in generale, è qui che i finanziamenti vengono meno, significa quindi che sono settori considerati inutili perché non producono profitto. Se il parametro diventa “è utile ciò che produce soldi e inutile il resto”, allora dobbiamo tagliare dalla nostra formazione una serie di saperi come letteratura, musica, arte, filosofia, che sono invece fondamentali per cercare di rendere più umana l’umanità».
Che cosa pone alla base di queste valutazioni?
«Oggi le discipline umanistiche e la stessa poesia soffrono perché il sapere non è più volto alla formazione dell’individuo, ma a una finalità professionalizzante. Questa è una delle critiche più forti che io sto muovendo alla concezione della scuola e dell’educazione in generale degli ultimi decenni. Scuola e università hanno il compito di far capire agli studenti che non si studia per prendere una laurea, ma sono occasioni che lo stato offre per diventare migliori. Non voglio sottovalutare l’aspetto occupazionale, ma gli studenti che puntano sulla loro formazione saranno poi in grado di essere dei validi professionisti. Il mestiere è effetto di una causa, non può costituire la motivazione».
Come si inserisce in questo contesto l’importanza della poesia, aspetto che lei approfondirà nell’incontro di Trento?
«La premessa è che un classico non si studia per superare un esame, i classici aiutano a capire il mondo e noi stessi che viviamo nel mondo. Nella poesia Itaca, Constantino Kavafis riscrive il mito di Ulisse, che da Omero in poi ha segnato la letteratura occidentale. Attenzione, quello che conta non è arrivare a Itaca, ma è l’esperienza del viaggio, osserva il poeta, dunque Itaca è il percorso interno che uno compie, l’esperienza con professori e compagni. Dobbiamo pensare alla scuola in modo diametralmente opposto a quella di oggi, volta a formare dei cittadini colti, in grado di ragionare con la propria testa».
E gli investimenti nella buona scuola?
«In pieno periodo di tagli all’istruzione, arriva il governo Renzi e investe un miliardo nella buona scuola, che è la scuola digitale. Ciò significa non aver capito cos’è la scuola, perché la buona scuola non la fanno i computer ma solo i buoni professori, ed è qui che si deve investire. In Italia abbiamo tenuto a bagnomaria quasi duecentomila precari, se andranno a insegnare senza aver superato un concorso nella scuola avverrà una catastrofe».
Perché oggi abbiamo bisogno dell’inutile?
«La società sempre più legata al profitto sta creando in Europa una forma di egoismo che mai si era vista a questo livello. I partiti politici sono degli imprenditori della paura, buttando le colpe sulle spalle degli immigrati trovano in loro un capro espiatorio. Viviamo circondati da rigurgiti di razzismo, di fascismi che esplodono da tutte le parti, stiamo alzando muri ovunque. Una regressione frutto di una politica sbagliata della classe dirigente europea che di fronte alla crisi economica anziché imporre che dei grandi gruppi come Amazon o Google paghino le tasse, chiede al piccolo pensionato greco di sborsare cinquanta euro al mese per il debito del suo paese. L’Europa guidata da banche e finanza ci porterà al naufragio, bisogna guardare all’Europa della cultura, di Erasmo, di Bruno che considerava i confini nazionali dei meri accidenti politici. Per Bruno “al vero filosofo ogni terreno è patria”».