Il «regno visionario» di Melotti Meraviglie a Palazzo Alberti Poja
Rovereto Uno spazio permanente per le «sculture aeree e filiformi» La poeticità artistica sboccia in un percorso evocativo intorno a Dafne
Quelle che Italo Calvino definisce le «sculture aree e filiformi» dell’amico Fausto Melotti (Rovereto, 1901 – Milano, 1986) da oggi sono finalmente inserite in uno spazio permanente all’interno delle affrescate sale del settecentesco Palazzo Alberti Poja.
«Rovereto - come spiega Giovanni Laezza, presidente della Fondazione museo Civico - riempie così un vuoto e rende omaggio a uno dei suoi cittadini più illustri. Con l’occasione, dedichiamo una sala anche a Carlo Belli e Carlo Fait, artisti che non hanno fin qui avuto la giusta valorizzazione. Il tutto all’interno di un dialogo imprescindibile con il Mart», puntualizza.
A questo proposito, il direttore dello stesso Mart di Rovereto, Gianfranco Maraniello, dopo aver sottolineato il rilievo sempre più internazionale della figura di Melotti, ribadisce che «un’attenzione particolare è stata riservata alla bellezza di Palazzo Alberti Poja, con un allestimento che permetta di coglierne e valorizzare lo spazio. Ma proprio i limiti di spazio dello stesso palazzo - aggiunge - ci dovevano portare a un progetto dotato di un carattere di esemplarità da dare all’ampia produzione di Melotti, che ha attraversato tutto il Novecento».
Dopo averne delineato la figura a tutto tondo - la sua passione per l’archeologia e la musica, ma anche le sue doti di scrittore - Maraniello sottolinea che l’intento è di documentare alcune espressioni melottiane, quali la levità della sua scultura, la capacità di immaginare un universo, la relazione che istituisce con lo spazio che muta, la scultura anti monumentale che attraverso vari materiali sembra sfidare le leggi di gravità, i suoi teatrini accostati spesso ad architetture. «Si tratta di restare nella poeticità di un artista che non ha cercato per la sua opera un’attribuzione a una certa fase storica, mentre i suoi coetanei cercavano l’appartenenza a un movimento. Una leggerezza che ci consente di pensare al suo assoluto poetico, sciolto da una legittimazione storica prosegue -. Questo ne fa oggi una figura inserita nella globalità delle vicende dell’arte internazionale, proprio in quanto figura che si colloca al di là della determinazione della materia, dell’arte, della storia».
Quello che aspetta il visitatore al primo piano di Palazzo Alberti Poja è un percorso altamente evocativo, che si sviluppa in forma concentrica iniziando da una sala introduttiva in cui la ninfa Dafne è circondata da un corteggio di opere: «Una sorta di giostra composta di tanti momenti melottiani affidati a tecniche diverse che danno conto della capacità dell’artista di trasformare le varie materie - riprende Maraniello -. È la forza poetica di un ritmo costruito attorno a Dafne, in una relazione con lo spazio, nella consapevolezza che la scultura non è una forma compiuta, ma un oggetto che va a determinare le relazioni ambientali, creando anche lo spazio al di fuori dell’opera».
Si attraversa quindi un breve corridoio che propone una piccola vetrina studiata ad altezza degli occhi dei bambini, per sottolineare il carattere infantile e giocoso di Melotti, quello che sempre Calvino definisce «un regno visionario di splendori e meraviglie, come ben sanno i bambini e gli attori shakespeariani».
Nella sala successiva stupisce il salto di scala degli undici metri de I Testimoni velati. Poesia pura, fragilità che incanta nella sospensione della materia. «Molta scultura contemporanea guarda a Melotti, proprio perché ci troviamo di fronte al mistero della precarietà, che pur resta permanente», osserva ancora Maraniello.
Esposti anche dei disegni per sottolineare la continuità del progetto, «opere già tutte nella disponibilità del Mart, e non per precluderci altre possibilità di collaborazione, ma ci sembrava importante far capire come questo patrimonio attendesse veramente di essere meglio organizzato», conclude.
Si continua con alcune opere che hanno un’impostazione architettonica in cui la scultura non ha alcun tipo di volumetria, ma abita poeticamente lo spazio. Una caratteristica che si ritrova anche in uno dei celebri teatrini di Melotti. La conclusione della mostra è affidata a Contrappunto domestico, una sorta di spartito sospeso che riporta alla stanza iniziale.