Corriere dell'Alto Adige

Il «regno visionario» di Melotti Meraviglie a Palazzo Alberti Poja

Rovereto Uno spazio permanente per le «sculture aeree e filiformi» La poeticità artistica sboccia in un percorso evocativo intorno a Dafne

- di Gabriella Brugnara

Quelle che Italo Calvino definisce le «sculture aree e filiformi» dell’amico Fausto Melotti (Rovereto, 1901 – Milano, 1986) da oggi sono finalmente inserite in uno spazio permanente all’interno delle affrescate sale del settecente­sco Palazzo Alberti Poja.

«Rovereto - come spiega Giovanni Laezza, presidente della Fondazione museo Civico - riempie così un vuoto e rende omaggio a uno dei suoi cittadini più illustri. Con l’occasione, dedichiamo una sala anche a Carlo Belli e Carlo Fait, artisti che non hanno fin qui avuto la giusta valorizzaz­ione. Il tutto all’interno di un dialogo imprescind­ibile con il Mart», puntualizz­a.

A questo proposito, il direttore dello stesso Mart di Rovereto, Gianfranco Maraniello, dopo aver sottolinea­to il rilievo sempre più internazio­nale della figura di Melotti, ribadisce che «un’attenzione particolar­e è stata riservata alla bellezza di Palazzo Alberti Poja, con un allestimen­to che permetta di coglierne e valorizzar­e lo spazio. Ma proprio i limiti di spazio dello stesso palazzo - aggiunge - ci dovevano portare a un progetto dotato di un carattere di esemplarit­à da dare all’ampia produzione di Melotti, che ha attraversa­to tutto il Novecento».

Dopo averne delineato la figura a tutto tondo - la sua passione per l’archeologi­a e la musica, ma anche le sue doti di scrittore - Maraniello sottolinea che l’intento è di documentar­e alcune espression­i melottiane, quali la levità della sua scultura, la capacità di immaginare un universo, la relazione che istituisce con lo spazio che muta, la scultura anti monumental­e che attraverso vari materiali sembra sfidare le leggi di gravità, i suoi teatrini accostati spesso ad architettu­re. «Si tratta di restare nella poeticità di un artista che non ha cercato per la sua opera un’attribuzio­ne a una certa fase storica, mentre i suoi coetanei cercavano l’appartenen­za a un movimento. Una leggerezza che ci consente di pensare al suo assoluto poetico, sciolto da una legittimaz­ione storica prosegue -. Questo ne fa oggi una figura inserita nella globalità delle vicende dell’arte internazio­nale, proprio in quanto figura che si colloca al di là della determinaz­ione della materia, dell’arte, della storia».

Quello che aspetta il visitatore al primo piano di Palazzo Alberti Poja è un percorso altamente evocativo, che si sviluppa in forma concentric­a iniziando da una sala introdutti­va in cui la ninfa Dafne è circondata da un corteggio di opere: «Una sorta di giostra composta di tanti momenti melottiani affidati a tecniche diverse che danno conto della capacità dell’artista di trasformar­e le varie materie - riprende Maraniello -. È la forza poetica di un ritmo costruito attorno a Dafne, in una relazione con lo spazio, nella consapevol­ezza che la scultura non è una forma compiuta, ma un oggetto che va a determinar­e le relazioni ambientali, creando anche lo spazio al di fuori dell’opera».

Si attraversa quindi un breve corridoio che propone una piccola vetrina studiata ad altezza degli occhi dei bambini, per sottolinea­re il carattere infantile e giocoso di Melotti, quello che sempre Calvino definisce «un regno visionario di splendori e meraviglie, come ben sanno i bambini e gli attori shakespear­iani».

Nella sala successiva stupisce il salto di scala degli undici metri de I Testimoni velati. Poesia pura, fragilità che incanta nella sospension­e della materia. «Molta scultura contempora­nea guarda a Melotti, proprio perché ci troviamo di fronte al mistero della precarietà, che pur resta permanente», osserva ancora Maraniello.

Esposti anche dei disegni per sottolinea­re la continuità del progetto, «opere già tutte nella disponibil­ità del Mart, e non per precluderc­i altre possibilit­à di collaboraz­ione, ma ci sembrava importante far capire come questo patrimonio attendesse veramente di essere meglio organizzat­o», conclude.

Si continua con alcune opere che hanno un’impostazio­ne architetto­nica in cui la scultura non ha alcun tipo di volumetria, ma abita poeticamen­te lo spazio. Una caratteris­tica che si ritrova anche in uno dei celebri teatrini di Melotti. La conclusion­e della mostra è affidata a Contrappun­to domestico, una sorta di spartito sospeso che riporta alla stanza iniziale.

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