Aron Demetz, la creatività è autarchica
Da giugno mostra dell’artista altoatesino al Mann di Napoli con 30 opere «Ho voluto confrontarmi con le sculture presenti al museo archeologico»
Prendete Aron Demetz, uno dei maggiori scultori italiani contemporanei, aggiungete il Mann, il Museo Archeologico di Napoli, e avrete ottenuto una mostra senza precedenti, intitolata Autarchia, in esposizione dall’8 giugno al 29 luglio 2018.
Questa è l’ultima impresa «crea-attiva» di Aron Demetz, scultore altoatesino di Vipiteno, impegnato in un’esposizione che lo vedrà interrogarsi sulle radici sia artistiche che culturali della tradizione occidentale, in una vera e propria esplorazione dalle numerose potenzialità: dalla materia in relazione alla forma, fino all’espressività della figura umana ritratta in vari aspetti formali. La collezione di opere, intitolate per l’occasione Autarchia, sarà realizzata seguendo un progetto in dialogo con le collezioni del museo, in un continuum di segni evocativi e colloqui silenziosi. Il progetto, ambito e unico nel suo genere, è stato realizzato con il supporto ed il patrocinio del Consiglio Regionale della Toscana e della Regione Trentino Alto Adige, e sarà corredato da un catalogo edito da Prestel. In particolare Demetz, per la realizzazione della mostra, si è ispirato alle collezioni Farnese ed Egizia del Museo Archeologico di Napoli, seguendo con la mente la plasticità delle forme le opere antiche, messe in sapiente comunicazione con le impostazioni dinamiche e posturali delle sue sculture.
Da sempre la ricerca dell’artista si focalizza sulla centralità della figura umana come veicolo di ideali classici quali la purezza formale ed i contenuti etici ed archetipici dell’arte, e in questa occasione aggiungerà una sperimentazione contemporanea creata dall’ausilio di materiali evocativi e dalle proprietà organolettiche, dove ogni materiale indica un processo esecutivo specifico, reso visibile nelle testimonianze di alcuni particolari lasciati volutamente in una condizione di «non finito».
Le opere scultoree, una trentina, sono state quasi tutte realizzate per questa esposizione in varie dimensioni e materiali, e troveranno degna collocazione presso sette sale del museo partenopeo. «Ho voluto confrontarmi con opere prestigiose, che raccontano una storia importante, pregna di cultura e tradizione, e di certo è una bella sfida cercare di instaurare un dialogo tra passato e presente», racconta Demetz. «Pertanto, ho giocato sulla materialità, attraverso la figura umana, e su ciò che può voler dire fare scultura figurativa oggi rispetto a ieri. Ho lavorato su gessi che si contrappongono ad opere marmoree, dove il gesso, materiale povero per antonomasia, viene presentato in questo frangente attraverso dei calchi dal vero, successivamente elaborati attraverso il mio fare e disfare, costruire e destrutturare».
Le rappresentazioni di Aron Demetz, con estrema raffinatezza, delimitano uno spazio, quello da lui ideato, che delinea la sua iconografia plastica fatta di «creazione», (sottointendendo un progetto ed un’idea) ed una «azione», che è il passaggio obbligatorio per trasformare un’idea in un oggetto solido. Le idee hanno bisogno di azione per essere realizzate; ma queste sono il risultato di un dialogo tra l’artista (idea) e il materiale da plasmare (fisicità) e questo dialogo si chiama tecnica (conoscenza), la stessa conoscenza che ha portato all’ideazione di questa mostra in progress. «Ho sempre desiderato confrontarmi con opere antiche, reagendo con ciò che già esiste, e dopo diverse visite al Mann ho pensato di creare un ponte di congiunzione tra la mia arte e quella del passato. Per me conta la costanzarchia del materiale; ossia la valorizzazione dell’autonomia fisica del materiale stesso che segue la sua natura, unendo poi, in corso d’opera, il mio essere ed il mio estro, creando così linguaggi nuovi e che si completano. Le mie opere quindi nascono man mano da un’idea, per poi nascere cammin facendo».
Un vero viaggio dell’artista dunque, che per realizzare la sua idea deve necessariamente porsi in una dimensione di ascolto nei confronti del materiale che vuole plasmare, e che solo condividendo la dimensione autoriale con esso, potrà raggiungere il suo obiettivo: quella rappresentazione fisica dell’idea che diviene spazio e tempo oltre il tempo (www.museoarcheologiconapoli.it/).