La (non) leggenda del Monte delle formiche
Da oggi i film in concorso. Palladino e il documentario: «Una storia vera»
La proiezione di Visage d’enfants di Jaques Feyder, il capolavoro montano del cinema muto, che con l’accompagnamento dell’Orchestra Città Aperta e della nuova partitura di Carlo Crivelli ha aperto giovedì sera la 66^ edizione del Trento Film Festival, non può che rappresentare un ottimo auspicio per un programma cinematografico assolutamente degno di nota, che si apre oggi presso le sale del Cinema Modena e del Cinema Vittoria.
Delle 700 opere sottoposte nei mesi scorsi al giudizio della commissione selezionatrice sono 130 i titoli che verranno proiettati fino al 6 maggio sugli schermi del festival, suddivisi nelle varie sezioni che vanno dal «TFF Family» a «Terre Alte» passando per le sperimentazioni di «Sesto Grado», con un’attenzione particolare, ovviamente, per il «Concorso».
Sono 25 i titoli in lizza per la Genziana d’Oro e già oggi, dalle 15, il pubblico avrà la possibilità di vedere i primi titoli in gara: a fianco delle proiezioni delle sezioni collaterali, alle 15.15 si inizia con lo svizzero Köhlernächte per proseguire alle 19 con due cortometraggi - La sombra de un Dios (di Bernard Hetzenauer) e l’islandese
Nowhere/NowHere, ai quali fanno seguito due lunghi
Mountain, dell’australiana Jennifer Peedom (con la voce narrante di Willem Dafoe) e, primo italiano dei tre in concorso, il
Monte delle formiche di Riccardo Palladino. Il documentario racconta di ciò che accade, da secoli, sul Monte delle Formiche nell’Appennino Bolognese il giorno 8 settembre: è qui che si radunano sciami di formiche alate, si prodigano in un volo di accoppiamento incredibile a cui fa seguito la morte di tutti i maschi, che cadono sul sagrato della chiesa una volta chiamata Santa Maria Formicarum.
Un evento eccezionale, che si svolge sotto gli occhi degli esperti, dei turisti e dei semplici curiosi e che genera un interessante spunto di riflessione sulla natura di questi insetti e, in parallelo, dell’essere umano. Da dove è nata l’idea del film?
«Stavo ultimando le riprese del mio documentario precedente, Brasimone — che è stato al festival di Trento nel 2015 — quando un passante mi ha raccontato di quello che accadeva sul Monte delle Formiche, che è a pochi chilometri di distanza dal lago. Per curiosità, e per vedere che non si trattasse di una leggenda, mi sono recato sul posto per verificare: era tutto vero! Da lì è nata l’idea di una
documentazione per il grande schermo».
Che impressione ha avuto davanti a un evento che sappiamo svolgersi da centinaia di anni?
«Quello che accade lì l’8 settembre è davvero impressionante, anche pensando al fatto che si svolge ogni anno da secoli. È un fenomeno che si svolge anche in altre parti del mondo, che ha a che fare con la vita e la morte: una serie di riflessioni che hanno rappresentato il punto di partenza per la realizzazione del film. Quello che rende l’evento del Monte delle Formiche unico nel suo genere è il legame con l’essere umano, che nel corso dei secoli ha trovato il proprio spazio di inclu-
sione in questo evento».
Dopo «Brasimone», ancora un documentario legato all’Appennino. È un caso o c’è un legame particolare con questo territorio?
«Io sono nato vicino ai Monti Sibillini, un legame e una particolare relazione con la montagna c’è. Credo che gli Appennini, come molti altri luoghi di montagna, siano dei luoghi di resistenza umana, dove chi li abita ha una marcia in più. Una spinta diversa, perché ha uno sguardo differente rispetto alla maggior parte delle persone che abita in contesti urbani».
A proposito di marce in più, sempre nella giornata di oggi, alle 21 al Cinema Vittoria, ci sarà l’anteprima italiana di Tout
là-haut con il regista Serge Hazanavicius, al centro del quale vi è il sogno di un talentuoso snowboarder: raggiungere l’Everest e scendere da lassù con la sua tavola.