«Le nostre paure strumentalizzate dalla politica»
Il volume Nardelli e Cereghini tra nuove paure, percezioni e politiche di esclusione
TRENTO Più che «Parole allo specchio», la collana a cui appartiene il saggio «Sicurezza» di Mauro Cereghini e Michele Nardelli (Edizioni Messaggero Padova), dovrebbe chiamarsi «Parole nel caleidoscopio». Perché gli autori prendono in esame la parola sicurezza svelandone «il carattere polisemico e sfaccettato», i molteplici significati di un sostantivo che è diventato imperativo del vivere quotidiano in questo presente di incertezza. Il volume sarà in libreria da domani e verrà presentato dopodomani a Bolzano, presso «La Rotonda» di via Alessandria alle 20 e venerdì a Trento, alla Libreria Due punti di via San Martino.
«Oggi si piega la parola sicurezza allo scopo di fomentare la paura, spesso correlandola al solo tema dell’immigrazione», spiega Michele Nardelli. «Abbiamo quindi voluto portar fuori il termine da questo tunnel di significato in cui è stato posto».
L’idea stereotipata di sicurezza è intrisa di paura, rancore, individualismo e spaesamento. Tutti sentimenti che contribuiscono ad associarla «alla difesa e all’esclusione». È proprio questo il luogo comune che gli autori sentono di dover scavalcare, ripercorrendo la storia e sottolineando l’importanza di «elaborare i conflitti del passato, per evitare che portino nuove paure». «Sicurezza non è solo difesa
Le spinte Il senso di esclusione e la sfera individuale vengono esaltati
del mio spazio», Nardelli e Cereghini mostrano un’identità tra sicurezza e il concetto di «prendersi cura».
Nei quattro capitoli in cui è articolato, il breve saggio si lascia ispirare delle riflessioni di pensatori come Zygmunt Bauman e Hannah Arendt, dalle encicliche di Papa Francesco, dagli scritti di Alexander Langer. Riporta anche l’esperienza del Forum Trentino per la Pace e i diritti umani (Michele Nardelli ne è stato il Presidente dal 2009 al 2014, ndr) come modello di riferimento per cominciare ad affrontare le paure del presente analizzando i problemi nella loro complessità, «cessando di rincorrerli col taglio dell’emergenza, mettendo invece in atto pratiche che permettano di affrontarli, riconsiderando gli stili di vita».
Un’analisi iniziale mostra le radici profonde della «Terza Guerra mondiale a pezzetti», espressione usata da Papa Francesco «riferendosi alla condizione per cui ciascuno di noi si sente in guerra contro qualcun altro perché il proprio spazio viene minacciato», continua Nardelli.
Un insieme di paure che hanno origine «nella demolizione delle certezze del Novecento», con «la fine delle ideologie, la crisi dei corpi intermedi, i processi di atomizzazione sociale, la crisi di credibilità delle istituzioni, la fragilità dell’istituto della famiglia», il venir meno dello stato sociale; e nell’avvento del neoliberismo. Il neoliberismo, scrivono Nardelli e Cereghini, «col suo dividere il mondo fra inclusi ed esclusi, ha comportato la fine dell’umanesimo universalista» portando ad «esaltare la sfera individuale».Da questa esasperazione dell’io è venuta generalizzandosi anche «la sensazione di vivere in ambienti poco sicuri».
L’oggettività di dati statistici, che mostrano un Italia in cui «da anni sono stabili o addirittura calano i reati», viene sovrastata dalla sensazione di crescente insicurezza. Gli autori spiegano che meno una cosa ci è familiare, più ci spaventa. E da quando si è smesso di vivere i luoghi pubblici, infatti, si è persa la confidenza con parchi e piazze. Alla domanda di protezione dei cittadini, le istituzioni rispondono con «politiche di ordine pubblico, separazione ed esclusione»; «sistemi di videosorveglianza, allarmi, inferriate, porte blindate». Una risposta emergenziale che genera un altro paradosso: destina certi luoghi all’abbandono, «contribuendo a rendere rarefatte — e pertanto più insicure — le relazioni che vi si svolgono».
Come calmare, allora, il timore in questo clima di incertezza? «Non esorcizzando la paura, né fomentandola come è stato fatto in campagna elettorale, ma affrontando le paure». Pratiche di «apertura, incontro e conoscenza reciproca — scrivono gli autori — sono l’antidoto alla paura».
In questo modo aumenta nei cittadini la sensazione di poca tranquillità