Cottarelli garantisce «Italiani, i migliori nell’emergenza»
Carlo Cottarelli e i peccati dell’economia italiana «Evasione, corruzione, burocrazia, divario Nord Sud»
TRENTO «Avevo appena finito di correggere gli esami dei miei studenti. Mi preparavo a guardare la settima puntata della quarta stagione di Breaking bad su Netflix, poi è arrivata questa telefonata». Era il 27 maggio scorso. La telefonata in questione arrivava direttamente dal Quirinale.
Oggetto: il conferimento di un mandato esplorativo per guidare un governo tecnico e neutrale che portasse l’Italia a nuove elezioni. La persona a cui veniva affidata tale responsabilità, la stessa che stava per mettersi a guardare la puntata Problem dog, era l’economista Carlo Cottarelli, direttore dell’Osservatorio sui conti pubblici dell’università Cattolica di Milano, visiting professor all’università Bocconi, commissario straordinario per la revisione di spesa da ottobre 2013 a novembre 2014, per quasi vent’anni in servizio presso il Fondo monetario internazionale.
Come è noto Cottarelli non è poi diventato presidente del Consiglio e quando venne a Trento l’1 giugno scorso, in occasione del Festival dell’economia, spiegò il divertente aneddoto sulla sua telefonata con il presidente Mattarella. Al centro del suo intervento vi era la presentazione del libro I sette peccati capitali
dell’economia italiana (Feltrinelli) dove Cottarelli elenca e analizza quelli che secondo lui sono i veri freni alla crescita economica del Paese: evasione fiscale, corruzione, eccesso di burocrazia, lentezza della giustizia, crollo demografico, divario tra Nord e Sud, difficoltà a convivere con l’euro.
L’autore tornerà per presentare il libro giovedì 16 alle 17 a Lavarone, presso il Centro congressi, nell’ambito della rassegna letteraria «Incontri d’autore».
Professor Cottarelli, glielo devo proprio chiedere: è riuscito a finire la quarta stagione di Breaking bad?
«Sì sì, ho avuto parecchi impegni ma proprio la settimana scorsa ho finito tutta la serie. La quinta stagione è lunga, ben sedici puntate, ma ce l’ho fatta».
Ci sono due macrotemi che attraversano il suo libro. Il primo è il deficit di capitale sociale, di senso civico, in Italia: è forse questo il peccato originale da cui discendono gli altri?
«Non tutti i peccati citati sono toccati da questa debolezza di capitale sociale, che peraltro sembra essere diversa tra le varie regioni d’Italia, spiegando così forse anche il diverso indice di gravità dei peccati in esse. Certamente occorre rafforzare il nostro capitale sociale attraverso il sistema educativo, la scuola, la famiglia: se ci fosse uno sforzo complessivo e individuale per infondere senso civico nelle giovani generazioni inevitabilmente ci sarebbe una ricaduta anche sugli adulti».
L’altro macrotema, a cui è inoltre dedicato un capitolo specifico, è il divario tra Nord e Sud. Forse è questo il peccato su cui occorrerebbe intervenire per primo, così da affrontare gli altri da Paese davvero unito?
«Ritengo che il primo intervento in assoluto dovrebbe essere la lotta all’eccessiva burocrazia poiché in un sistema così bloccato risulta difficile attuare ogni iniziativa. Sicuramente il divario tra Nord e Sud sta sul podio, anche collegandoci a quanto detto prima sul capitale sociale: le scuole ad esempio dovrebbero funzionare bene allo stesso modo in tutta l’Italia, i punti di partenza devono essere uguali per tutti».
Cosa ne pensa degli interventi economici prospettati dal governo?
«Guardi, finché non si vedono i numeri si possono dire tante cose e spesso non si capisce neanche tanto bene che cosa significhino. Pare che l’intenzione sia contenere il deficit — per il quale è previsto un aumento — ma in ogni caso un livello del deficit come quello attuale non sarebbe un problema se non avessimo un debito pubblico così elevato, che ci limita in quello che possiamo fare senza provocare nel caso una reazione negativa dei mercati».
In un recente bollettino della Bce l’Italia svetta in cima ai diciannove Paesi dell’eurozona (Grecia esclusa) per squilibri macroeconomici eccessivi in vari settori. Come va gestito questo continuo confronto, spesso impietoso, con gli altri Stati europei?
«I confronti li dobbiamo fare noi con noi stessi e lavorare per ridurre le nostre mancanze e migliorare le nostre aree più deboli. Dà sempre fastidio quando le critiche arrivano dagli altri ma se nei circuiti internazionali spesso si parla male dell’Italia cerchiamo allora di fare qualcosa per migliorare la situazione».
Quale pensa possa essere l’apporto dell’immigrazione all’economia italiana?
«In linea generale io sono favorevole all’immigrazione regolare, che ritengo possa portare benefici al Paese sotto diversi aspetti, per esempio quello demografico o contributivo. Ma come ogni cosa ci vuole moderazione, l’immigrazione non può essere l’unica soluzione».
Abbiamo parlato sempre di peccati, mi direbbe almeno una nostra virtù?
«Sicuramente la nostra inventiva, la nostra capacità di muoverci nelle situazioni di emergenza. In campo internazionale c’è una battuta secondo cui quando si crea un team ci deve essere per forza almeno un italiano, per poter fronteggiare così ogni emergenza».