Il pittore dimenticato delle vette alpine
Augusto Tommasini dipinse paesaggi montani ma oggi è ricordato per le memorie del tribunale di guerra Anche il figlio Giancarlo, medico, coltivò la stessa passione
Non è raro imbattersi in artisti del Novecento che siano ancora privi di un sia pur minimo profilo biografico. È sufficiente che non abbiano lasciato eredi interessati a valorizzarne le opere, o che non siano facilmente incasellabili in un movimento o in una scuola, ed ecco venir meno anche l’attenzione della critica nei loro confronti, spesso per effetto dell’inerzia degli «addetti ai lavori». È questo il caso di un pittore trentino vissuto nella prima metà del XX secolo, Augusto Tommasini, il cui nome non compare in alcun repertorio dedicato agli artisti locali, benché i suoi dipinti circolino tuttora sul mercato con elevate quotazioni. Eppure si tratta di una figura tutt’altro che appartata nel panorama culturale del suo tempo, pur non avendo mai oltrepassato i confini del dilettantismo.
Il nome di Tommasini è oggi ricordato solamente in relazione a un suo libro pubblicato nel 1923 dalla casa editrice Tridentum, i Ricordi del tribunale di guerra a Trento 1914-1918. Il volume è interessante anche per la grafica della copertina, che mostra una testa di Medusa disegnata da Silvio Vitti (altro artista dimenticato di quella generazione). Il memoriale scaturiva dall’esperienza diretta dell’autore, il quale — grazie alla sua conoscenza del tedesco e di altre lingue straniere — ricoprì il penoso ruolo di interprete protocollista presso il tribunale militare di Trento durante la prima guerra mondiale e il processo a Cesare Battisti.
Poco altro si sa della sua vita: era nato a Pergine il 15 marzo 1882 da Carlo e Luigia Froner. Il padre dirigeva l’Hotel Al Moro di Roncegno e costruì l’Albergo Alla Corona di Montagnaga di Piné; la madre era sorella del podestà di Roncengo e direttore del locale stabilimento termale. In gioventù Augusto aveva lavorato in alcuni grandi alberghi di Londra e di Parigi prima di assumere, intorno al 1912, la direzione dell’Hotel Bristol a Trento, mentre il fratello minore Antonio, dopo la morte del padre nel 1922, si prese cura dell’albergo di Piné.
Il lavoro nel settore alberghiero non impedì ad Augusto di coltivare interessi artistici, anche se scarse sono le notizie in proposito. Nel 1934 sulla rivista Studi Trentini veniva segnalata una sua mostra allestita a Vienna: «Il concittadino Augusto Tommasini — si legge nell’anonima cronica — ha esposto alcuni dei suoi paesaggi alpestri a Vienna nelle vetrine del negozio Neumann, il noto negoziante di quadri e di oggetti d’arte». La sede dell’esposizione induce a ritenere che il pittore frequentasse abitualmente la capitale austriaca e che i suoi dipinti abbiano conosciuto ampia diffusione, ben oltre i confini provinciali.
Augusto morì a Trento il 31 dicembre 1951, pochi mesi dopo aver dato alle stampe un opuscolo dal titolo Cultura ed educazione civile turistica. Nel necrologio apparso il 3 gennaio successivo sul Gazzettino se ne ricordava la «vita esemplare tutta dedicata al culto della famiglia e al lavoro nel campo turistico-alberghiero e in quello pubblicitario», senza dimenticare «la sua passione per l’arte attraverso la quale fece conoscere ed amare le bellezze della nostra terra».
Tommasini fu un emulo del britannico Edward Theodore Compton (1849-1921), il pittore delle vette per eccellenza, attivo in area trentina e tirolese tra la fine dell’Ottocento e lo scoppio della Grande Guerra. Per un confronto si consideri la bella tela appartenente alla collezione dell’Itas, raffigurante i laghetti dei Piani a Sesto Pusteria: qui la fedele restituzione del dato naturale si unisce a una capacità non comune di evocare la maestosità dello scenario d’alta quota e la sua luce primordiale, grazie anche all’uso sapiente della spatola. Lo stesso si può dire della veduta delle Tre Cime di Lavaredo tuttora conservata nell’albergo di famiglia a Montagnaga, oggi sede del Museo del Turismo Trentino.
Le crode dolomitiche furono il soggetto preferito di Tommasini ed è probabile che i suoi paesaggi nascessero da schizzi ripresi dal vero durante escursioni e scalate. Raramente le sue tele recano la data di esecuzione, sicché è impossibile individuare una linea di sviluppo all’interno della sua produzione.
Anche il figlio Giancarlo, che divenne medico, coltivò la passione per la pittura. Nato a Roncegno il 26 novembre 1911, a differenza del padre si accostò anche ai generi della veduta urbana e della natura morta, con una predilezione per la tecnica dell’acquarello. Partecipò a mostre collettive a Venezia, Bolzano, Rovereto e Padova, mentre sue mostre personali si tennero a Trento nel 1961 e nel 1965 alla Camera di Commercio. La sua ultima mostra risale al 1987, al Palazzo della Regione. Giancarlo morì due anni dopo a Trento e fu sepolto accanto al padre nel settore monumentale del cimitero comunale. Anche la sua figura attende di essere riconsiderata nell’ambito degli studi sulla pittura trentina del Novecento.