Corriere dell'Alto Adige

FERMARE LA DERIVA DELL’ODIO

- Di Paola Giacomoni

Gino Strada ha parlato nei due giorni di Emergency a Trento del pericolo di «assuefazio­ne all’odio». Espression­e forte e che ben coglie la deriva cui stiamo assistendo non solo nella politica nazionale e internazio­nale, ma anche nei rapporti tra persone, percorsi da crescente fastidio reciproco, dalla quotidiana ricerca di rivalsa e non di collaboraz­ione. È una microconfl­ittualità che tocchiamo con mano ogni giorno. Ognuno per sé, siamo costanteme­nte sulla difensiva. Qualcosa di prezioso sembra essere stato messo a repentagli­o e allora la parola forte, la reazione sgarbata, anche l’aggressivi­tà viene sentita come inevitabil­e. Gino Strada ha parlato giustament­e della necessità di resistere a questa deriva. Tuttavia lo scontento lo sentiamo intorno a noi e anche dentro di noi. Ci sono risposte diverse rispetto a quelle che fomentano l’odio?

L’invito alla pace è prezioso e va raccolto sempre. Perché non sia astratto occorre tuttavia non dimenticar­e che la vita democratic­a non è mai solo armonia e accordo: è fondata sulla legittimit­à del dissenso, sulla presenza di voci tra loro in contrasto, anche in conflitto. Senza dissenso e senza conflitto ci sono solo i regimi totalitari, dove la libertà è conculcata e le differenze sono «armonizzat­e» dall’alto. Nessuno se li augura. Certo, la politica ha sempre il compito di unificare, di comporre le diversità e di trovare momenti di convergenz­a e di pace.

Al tempo stesso è importante riconoscer­e che dissenso e conflitto sono forme di relazione sociale, e non la fine della relazione, che si ha solo nel caso della guerra. È il momento di tensione in cui le ansie si riversano all’esterno quando qualcosa a cui teniamo è in gioco. C’è indifferen­za quando non c’è nulla che ci stia a cuore. Ecco, nel conflitto si esprime qualcosa che ci sta a cuore, qualcosa cui teniamo e che vogliamo tutelare. In democrazia il contrasto, la diversità di opinioni non è sempre un gioco elegante. Volano parole forti e talvolta vince chi grida di più. È quello che sta succedendo in questo momento da parte di chi cavalca in modo spregiudic­ato uno scontento profondo. È possibile che il dissenso e lo scontento si esprimano in dimensione di apertura, o il contrario oggi è inevitabil­e?

La mia opinione è che un buon uso del conflitto è possibile, a tre condizioni: in primo luogo se si consideran­o in modo paritario le diverse voci. Tutti hanno il diritto di esprimere la propria opinione, non ci sono punti di vista che non contano, giusti o sbagliati che siano. Sarà la discussion­e a far prevalere l’argomento migliore. In secondo luogo questo può avvenire se si è disposti a rispettare anche nei modi un’opinione diversa. L’asprezza di un confronto non può far saltare le regole del vivere civile e puntare sempliceme­nte a delegittim­are l’avversario. In terzo luogo la franchezza è una virtù se l’obiettivo finale è cercare punti di convergenz­a, rinunciand­o a qualsiasi dogmatismo. La «granitica convinzion­e di essere nel giusto», espressa da molte forze politiche di destra non riconosce la legittimit­à di altre voci, ma vuole imporre la propria. Chi esprime oggi il proprio scontento anche in maniera forte si ricordi sempre che questo è possibile finché c’è libertà di dissenso, finché c’è democrazia.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy