Prevaricatori o vicini di casa?
Dopo l’esito elettorale del 4 marzo la traiettoria del Trentino sembra aver assunto un’altra parabola. Imprecisa e misteriosa perché è difficile intravedere fino in fondo il suo punto di caduta. Certo, si affaccia la possibile affermazione della Lega — con il resto del centrodestra a rimorchio — ma quale sarebbe la sua traduzione politica? Da partito più federalista rischia di diventare quello più centralista, sia per ragioni pratiche che teoriche. Quando il suo leader nazionale, Matteo Salvini, si muove le persone non restano insensibili. È fattuale. Il vicepremier sposta i voti, solletica le pance e i vendemmiatori locali passano a riscuotere perché su di loro si allunga il «prodigio» sovranista. L’opposizione ha scorto in tutto ciò il rischio di perdere il senso dell’autonomia speciale, diventando un’appendice del Veneto o, forse ancora di più, un’espressione periferica del disegno nazionale. Vaso di coccio tra vasi di ferro. Il lapsus di Salvini a proposito del simbolo in cui compare il suo nome non ha aiutato. Dalla Valdastico alla Marmolada, passando per le prerogative garantite nello Statuto, spesso oggetti di conflitto con il governo, sono diversi i temi nei quali la posizione del Trentino potrebbe diventare ancillare. E il Veneto, che i trentini considerano culturalmente altro da sé, attende l’attimo. Come Roma. Se Fugatti diventerà presidente dovrà dimostrare che la priorità sono le prerogative dell’autogoverno e che «se Zaia è Zaia», come dice Salvini, Fugatti è Fugatti. Per una volta, insomma, gli invasori potrebbero non essere i migranti, sempre evocati nella retorica leghista, ma i vicini di casa e i compagni di maglia.