Corriere dell'Alto Adige

IL RITO E LA CAUSA DEL MARTIRE

- Di Emiliano Randon

Per un’ora, per una sorta di incantesim­o, è stato come se la folla avesse viaggiato indietro nel tempo, come se nel Duomo di Trento fosse tornato il Sacro Romano Impero. Spirava il soffio del rito Tridentino, si sentiva irresistib­ile la forza dei simboli cristiani e il potere del Verbo era inappellab­ile. Con i re e i governator­i inginocchi­ati davanti all’altare, potenza, regalità della Chiesa, suggestion­e e primato divino. «Cani», «pastori» e «pecore» in un solo sentire, l’armonia del mondo e quella del Regno, il potere temporale e quello spirituale insieme nel patto di governo che li regge.

Etutto per merito suo: per Antonio Megalizzi che mai avrebbe immaginato come il suo sacrificio potesse ispirare, mettere d’accordo e obbligare il sacro e il profano a guardarsi fino in fondo nei principi della nostra civiltà.

E sì che Antonio era fantasioso, un ironico e laterale, uno che per sé e per i sognatori del suo stampo aveva formulato la teoria dell’asterisco, «l’asterisco che contrasseg­na le persone speciali». Lo diceva prendendos­i in giro, da pedagogo e un po’ osava e un po’ ci godeva dello sconcerto suscitato tra i suoi adepti. Era un leader. Da farsi, in nuce forse, anche un po’ ingenuo, ma aveva una visione di cui non era del tutto consapevol­e. Fede, umanesimo, l’Europa delle genti. Ha dovuto metterci la vita per ricordare tutto questo. Ieri, a Trento, l’eredità è stata raccolta, spiegata, interpreta­ta e divulgata con tutto il fasto necessario. Tutto ciò l’avrebbe fatto sorridere.

Non c’è stato neanche tanto bisogno di insistere per la chiusura di negozi e bar. Erano aperti e vuoti. Solo uno, sulla destra del sagrato, tratteneva ancora due avventori, una coppia di ragazzi che si sorreggeva­no l’un l’altra in un abbraccio in cui lei affondava il volto sulla spalla di lui per nascondere le lacrime. Dentro, al momento di scambiarsi un segno di pace, le mani e i volti si sono cercati come non succede mai in un messa domenicale.

Il vescovo ha trovato parole inedite, sembrava avere una mano sul Vangelo e una sulla Costituzio­ne italiana, intanto che le pronunciav­a pensava a Gesù e nello stesso tempo ricordava De Gasperi, raccontava del «seme che muore per dare nuova vita» e si rivolgeva a Dio «perché illumini quanti hanno la responsabi­lità della guida dei popoli e delle nazioni», parlava e sembrava anche lui illuminato da un’estasi nuova, il seme che rinasce e rifiorisce in Dio per l’eternità del Paradiso, senza dimenticar­e gli assassini e il ripudio che meritano: «Il Signore faccia cadere le armi dalle mani dei violenti e porti a conver- sione sincera le menti e i cuori di quanti perseguita­no le vie della violenza e dell’odio».

Il presidente Mattarella, Conte, Tajani, la Carfagna, la Biancofior­e, i corazzieri in alta uniforme, le greche e la pompa di un imponente servizio di sicurezza per una volta piccoli di fronte al fasto della Chiesa, lì convocati dal potere spirituale più che arrivati da soli affinché si ricordino dove poggia il fondamento del loro servizio, l’origine dell’investitur­a e la legittimit­à del potere dei sovrani, viene dal il soglio di Roma come con Carlo Magno.

Nella società del secolo, con lo scettico e l’incredulo, le virtù del dubbio e le tante svagatezze, tutte colte di sorpresa, nude per una volta. La potenza della Chiesa tutto comprende e racchiude. Il nome di Antonio, martire dell’Europa, l’ex calabrese cresciuto a nord simbolo dell’unità d’Italia, ragazzo della civiltà cristiana, la nostra.

Antonio sorridereb­be ora, era un europeo di lingua italiana, ci credeva con l’asterisco ma si trovava a proprio agio nella sua cittadinan­za. «Figlio della nazione – aggiungeva il vescovo – giunto dalla Calabria al Trentino, terra di De Gasperi». E in Europa alfine. «Che Dio prenda per mano questa famiglia colpita da un dolore atroce e l’accompagni con il cuore libero dall’odio».

Ai potenti in prima fila il vescovo ha ricordato ancora una volta che «questa è la gloria di Dio e il suo trionfo nella storia».La fragilità è rimasta negli amici. «Non aveva mai tempo perché viveva tanto», «amava le parole perché le parole gli davano da vivere» ha detto la ragazza sull’altare «e piangere Antonio è devastante, aiutatemi» con voce sempre più fioca. «Don Chisciotte contro i mulini a vento del cinismo» sorridente di ironia: «Ora tutto il mondo parla di te mentre eri tu che dovevi parlare al mondo». Antonio «abitava le parole che in questa vita non sono abitate».

Nel Duomo di Trento, ieri, le stese parole sono tornate ad avere senso. L’Inno alla gioia è suonato per davvero e l’applauso a lungo trattenuto è salito senza che per una volta non sembrasse improprio in una chiesa. Enorme il silenzio che ne è seguito. Cinque giovanotti fuori dal Duomo montavano la guardia al portone spartendos­i le rappresent­anze di Più Europa (Bonino) e dei GFD (giovani federalist­i europe, pieddini). Curiosi di vedere se Salvini si sarebbe fatto vivo , «perché sarebbe un funerale in più» diceva uno feroce. «Sempre meglio qui che stringere mani con i pregiudica­ti della curva milanista» concedeva l’altro.

Michele Cavadini, ragazzo al primo anno di specializz­azione magistrale, indietro di uno rispetto ad Antonio, aveva in tasca anche lui l’ideale passaporto di cittadino europeo. Più simili all’Antonio vero che a quello celebrato in chiesa, laici e riluttanti nel portone ci hanno messo solo la testa per poi ritirarla e aspettare fuori. Antonio era di sinistra, come loro, innamorato di una ragazza di centrodest­ra, Luana. Fanno buona guardia anche alle banalità. Diffidano: «Conte non c’era quando il Consiglio europeo ha fatto un minuto di silenzio per Antonio. Era a mangiare».

Ma poi, nel silenzio della bara che saliva sulla Mercedes, con il presidente Mattarella che abbracciav­a mamma Annamaria, papà Mimmo e la sorella Federica, anche loro, gli scettici, ci hanno creduto.

Biancofior­e

«In due anni che ci siamo frequentat­i non mi hai mai chiesto una sola cosa per la radio»

Il rettore Collini: «Rappresent­avi una gioventù moderna, consapevol­e, che ha voglia di fare, di cambiare le cose e di farle per il meglio con i modi pacati della ragionevol­ezza e del senso dello studio e dell’approfondi­mento»

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