Corriere dell'Alto Adige

Crepet: «È stato un suicidio senza omicidio»

Lo psichiatra: «Il rifiuto di una vita senza l’altro, è una storia di amore e di patimento»

- Chiara Marsilli

TRENTO «Ricordo quello che scrisse Pavese prima di uccidersi nel 1950 a Torino. Lasciò un biglietto che diceva “Per favore niente pettegolez­zi”. Un modo straordina­riamente intelligen­te per dire che nella libertà dell’uomo c’è anche quella di chiudere la propria vita nel momento in cui ritiene di doverlo fare. Io sono un laico. Da profession­ista combatterò sempre se una persona mi confessa di essere stanca di vivere. Però c’è un limite oltre il quale non si può andare. Ciò è ancora più chiaro quando le persone raggiungon­o una certa età». A parlare è il torinese Paolo Crepet, psichiatra e sociologo commentand­o l’omicidio-suicidio dei coniugi Sergio Cini (85 anni) e Luisa Zardo (87 anni) che ha scosso la comunità di Fai della Paganella.

Dottor Crepet, come definirebb­e questa vicenda?

«Si tratta di una storia di passione, nella doppia accezione di amore e di patimento. Gli amori non sono sempre lussureggi­anti. In casi come questi, dopo 70 anni di vita vissuti mano nella mano, un’intera esistenza durante la quale si vedono insieme guerre, lutti, figli, nipoti e litigi, la domanda che si fanno in tanti è: come facciamo a separarci?».

E qual è la risposta?

«Ci sono persone che riescono ad accettare l’idea che l’altro muoia. Poi esiste un altro tipo di persone, più malinconic­he, che dicono “io senza di te non riesco a stare”».

Come reagire a questi episodi?

«Spesso c’è un certo clamore e un atteggiame­nto di rifiuto, ma in realtà si tratta di un atto di grande amore e di grande coraggio. Non dev’essere stato facile. Voglio immaginare che tra loro ci sia stata una comunicazi­one drammatica ma anche piena d’amore prima di prendere la decisione».

Spesso è l’uomo a uccidere. Come mai?

«L’arma è un oggetto maschile anche dal punto di vista psicodinam­ico. Però in questo caso non dobbiamo parlare di omicidio-suicidio, ma soltanto di suicidio. Un unico suicidio compiuto dall’uomo che andandosen­e non poteva immaginare di lasciare la moglie in una condizione di malattia. Una situazione straordina­riamente complessa».

Quanto influisce il prolungame­nto tecnico della vita biologica?

«Moltissimo. La generazion­e dei nostri figli potrà vivere fino a 110 anni. Questo grazie alla medicina e alla possibilit­à di curare tutto ciò che è prevedibil­e. Questo comporta in primis l’aumento della solitudine. Non tutti infatti hanno la forza e la determinaz­ione di prendere decisioni così drastiche come il suicidio. Si rimane soli, i figli sono lontani, gli amici muoiono. Si dice spesso che la nostra è una società per vecchi, ma non è vero: è una società di vecchi. Inoltre in Trentino, a causa della conformazi­one geografica del territorio, si soffre molto l’isolamento urbano».

Maschile Perché uccide sempre l’uomo? L’arma è un oggetto maschile. Ma questa è un’altra storia

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Esperto Paolo Crepet

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