Ostriche e vino in cucina con i romani La mostra al Sas di Trento sulle passioni culinarie degli antichi
«Fai bollire l’orzo dopo averlo tenuto a bagno per un giorno. Metti olio, aneto, cipolla secca, santoreggia, uno stinco di maiale e fai cuocere. Aggiungi poi coriandolo verde e sale tritati insieme. Quando avrà bollito bene, togli il mazzetto di aneto e trasferisci la crema d’orzo in un altro tegame. Pesta pepe, sedano e mentuccia secca, cumino e silfio fritto, irrora di miele, aceto, vino e versa nel tegame sullo stinco. Fai bollire il tutto a fuoco lento».
Se non fosse per il silfio, specie estinta di «finocchio gigante», la ricetta della Crema d’orzo e stinco di maiale appena citata potrebbe essere stata suggerita da uno chef stellato di qualche ristorante dolomitico nel corso di una delle tante trasmissioni televisive dedicate alla cucina d’autore. Niente di tutto ciò.
La specialità in questione è descritta da Marco Gavio Apicio, gastronomo, cuoco e scrittore romano vissuto a cavallo tra il I e il II secolo dopo Cristo, nel De re coquinaria, opera fondamentale per conoscere i gusti a tavola dei nostri raffinati antenati.
Ma se è certamente noto quanto le classi agiate romane adorassero il buon cibo, può invece sorprenderci che anche nella piccola e decentrata Tridentum, l’odierna Trento, fondata nel I secolo avanti Cristo nel cuore della catena alpina, si degustassero pietanze non solo ricercate nei sapori e nell’aspetto ma di chiara impronta mediterranea.
«Ostriche e vino. In cucina con gli Antichi Romani», mostra di grande successo a cura dell’Ufficio beni archeologici – Soprintendenza per i beni culturali – Provincia Autonoma di Trento, ospitata presso il S.A.S.S. (Spazio Archeologico Sotterraneo del Sas), in piazza Cesare Battisti a Trento, attraverso l’esposizione di una molteplicità di utensili e suppellettili da tavola ed altri materiali rinvenuti negli scavi archeologici, ci restituisce un’immagine oltremodo interessante di questo particolare ma fondamentale aspetto della cultura romana.
Possiamo infatti ammirare oggetti in ceramica fine e grezza, vetro e pietra, vasellame in bronzo ma anche resti vegetali come cereali, legumi e vinaccioli. Vi sono persino alcune teglie che venivano impermeabilizzate con uno spesso strato di vernice rossa per potere cucinare sulla brace pane, carni, legumi o grandi frittate con verdura senza che gli alimenti si attaccassero. Una sorta di “antiaderenti” dell’antichità utilizzate nel “servizio mensa” di un’azienda ubicata presso l’attuale via Prepositura. E poi ci sono le ostriche e il vino a cui fa riferimento il titolo della mostra: il sito di Piazza Verzeri ha restituito infatti, oltre ai resti del pregiato mollusco, un frammento di contenitore del miele che serviva per rendere più dolce il calice.
Ma cosa e come mangiavano gli antichi romani in quel di Tridentum? Per colazione (jentaculum)si usava consumare gli avanzi del giorno prima, un bicchiere di acqua o vino ed un biscotto. A mezzogiorno (prandium) era previsto uno spuntino frugale a base di pane, carne fredda, verdura e frutta, uova sode, formaggio e legumi, il tutto innaffiato con vino diluito con acqua calda nei mesi freddi o fredda d’estate. Ben più attenzione era riservata alla cena: la famiglia si sedeva attorno ad una tavola riccamente imbandita, dove ci si poteva sbizzarrire tra polente di cereali, verdure, legumi, formaggi, carni e pesci.
Per i più ricchi, il desco era accompagnato da canti, musica e abbondante vino, meglio se invecchiato e spesso offerto in contenitori di gran pregio, come testimonia il bicchiere di vetro bianco con pareti sfaccettate ritrovato in area gardesana ed esposto in mostra. Mostra che offre anche suggerimenti gastronomici per chi volesse cimentarsi con l’antica cucina romana e persino un menù per palati esigenti che contempla, tra l’altro, Ghiro al forno, Polpette di pavone, Lingua di fenicottero, Sformato di cervella di fagiano. De gustibus non est dispuntandum…
Lo «jentaculum», la colazione, era frugale come il «prandium», 7 portate alla «coenam»