Il «bivacco» di Messner si fa arte alla Biennale
Dall’Alto Adige a Venezia Sette artisti espongono nell’installazione dedicata al fratello dell’alpinista
Un bivacco di montagna di sei metri quadrati, strappato alle vette delle Dolomiti altoatesine, diventa scrigno d’arte alla Biennale d’Arte di Venezia, dal 10 maggio al 30 settembre.
Questa «stanza» di lamiera arancione, che dal 1972 garantisce in quota la sopravvivenza degli scalatori durante i pernottamenti in arrampicata, sarà scenario, sull’isola di San Servolo a Venezia di una mostra, ospitando le opere di sette artisti altoatesini.
L’idea è che il bivacco rappresenti la vocazione di luogo aperto e transfrontaliero che caratterizza il Trentino Alto Adige e simboleggi il tema dell’accoglienza.
Nel 2019 ricorre l’anniversario del centenario del trattato di Sant Germain che divise il Tirolo attribuendolo all’Italia e all’Alto Adige, per questa ricorrenza l’associazione ArtintheAlps di Venezia ha ideato questo progetto del «Bivacco», da esporre in Biennale.
L’idea è di Hannes Egger, supervisionata dalla curatrice Christiane Redake.
La struttura è offerta da Reinhold Messner, dedicata a suo fratello, Günther Messner, morto tragicamente al suo fianco durante la scalata del Nanga Parbat nel 1970. Il bivacco si trovava a 2500 metri di altezza, tra Austria e Italia, ora fa parte del circuito espositivo del Messner Mountain Museum. Per essere portato alla Biennale di Venezia, è stato restaurato dallo stesso artigiano che l’aveva costruito 50 anni fa.
«Questo bivacco, che avevo a Solda sullo Stelvio, dopo Venezia dirà molto più di prima: era un semplice rifugio arroccato sulle montagne dedicato a mio fratello Günther, ora diventerà un’opera d’arte - spiega Messner-. L’intero progetto non è una mia idea, io l’ho solo messo a disposizione. Gli
artisti faranno il loro lavoro e, dopo Venezia e un breve periodo a Bolzano, lo porterò a Plan de Corones, a 2.275 metri, accanto al mio Museo della Montagna». A distanza di un secolo dal trattato di Saint Germain, il rifugio d’alta quota si fa simbolo di protezione in un territorio irto e pericoloso, di confine, di passaggio e di scambio, ma anche di un’accoglienza che valica le frontiere e che accomuna popoli,
Reinhold Messner Era un semplice rifugio arroccato tra le vette, ora vedendolo la gente potrà entrarci, guardare, pensare, capire
lingue e culture. Sullo sfondo il tema del viaggio, della migrazione. Oggi come allora, in Alto Adige come a Venezia, l’andirivieni di flussi culturali spinge a riflettere sullo spazio fisico circoscritto, l’isola di San Servolo, ma anche il piccolo rifugio, e sugli ampi spazi condivisi, i luoghi di incontro e contaminazione culturale. Un progetto capace di abbracciare storia e attualità. Il rifugio in lamiera ospiterà sette opere e installazioni; tra queste, una dedicata in particolar modo a Günther Messner, la cui tragica vicenda, avvolta per decenni da una nube di mistero e polemiche rispetto al ruolo del fratello che partecipava alla spedizione del 1970, ha trovato finalmente conclusione quando, nel 2005, la vetta del Pakistan ha restituito il corpo dell’alpinista confermando la versione dell’incidente da sempre fornita da Reinhold. Il fratello era scomparso durante la discesa e non, come da molti ventilato, durante una scalata mai interrotta da Messner.
«Sfruttare il mio nome oggi è un business, sia che scrivano che racconto una bugia, sia che si parli della situazione drammatica in cui mio fratello è morto e in cui non c’era via d’uscita - sostiene Reinhold Messner-. È chiaro che per me quello rimane un momento drammatico che ha segato in poche ore la mia prima ascesa agli 8.000 metri. Avevo 25 anni, ero solo un ragazzino senza l’esperienza di oggi. Ma su quello che è accaduto, e che ho raccontato i quattro libri, la gente ha il diritto di pensare quello che vuole. Io non spreco più tempo a difendermi: non ne ho più la necessità, non di fronte a gente che non ha la minima idea di cosa sia l’alpinismo a questi livelli. Non risponderò mai più alle polemiche: vado avanti con i miei progetti e sono contento che qualcuno abbia avuto l’idea di rendere un’opera d’arte quel bivacco in cui oggi la gente potrà entrare, vedere, pensare e capire».
Gli artisti che esporranno nel «Bivacco» sono i bolzanini Jacopo Candotti, Nicolo Degiorgis e Hannes Egger e Simon Perathoner e Maria Walcher di Bressanone, Julia Frank di Silandro e Leander Schönweger di Merano. Lo renderanno evocativo veicolo di emozioni e riflessioni per un vasto pubblico, a Venezia come in Val Pusteria, dove troverà sede l’installazione al termine della Biennale.
«Qui ho fondato e avviato il museo di montagna più grande al mondo che funziona senza alcuna sovvenzione - riferisce Reinhold Messner -. Ho avuto la fortuna e la forza di fare all’età giusta quello che sapevo fare meglio: l’arrampicatore, l’alpinista di alta quota, l’avventuriero nelle grandi distese di ghiaccio e roccia. E avevo tutto a disposizione, tutto quello che non era mai stato fatto: sono stato il primo a proporre lo stile alpino, la solitaria su due ottomila, la traversata doppia, l’Everest senza la maschera. Una fortuna che oggi trasmetto per creare cultura della montagna. Anche attraverso l’arte».