Corriere dell'Alto Adige

CONCILIARE FAMIGLIA E LAVORO

- Di Enrico Franco

Se si affidasser­o meno all’ideologia e più ai dati statistici, i difensori della famiglia, otterrebbe­ro sicurament­e maggiori successi nella loro battaglia. L’ennesima conferma arriva da un’indagine che Opinium Research, società di consulenza e ricerca di mercato, ha svolto per conto di Linkedin, il social network che favorisce l’incontro tra domanda e offerta di lavoro. Emerge così che il 36 per cento degli intervista­ti vorrebbe cambiare occupazion­e per avere più tempo da passare con i propri cari. Più di uno su tre, quindi.

Dietro a una simile aspirazion­e, c’è una realtà in cui è faticoso conciliare l’attività profession­ale con gli impegni personali: i guai e gli ostacoli dentro le mura domestiche, perciò, nascono in buona parte in azienda o in fabbrica. Non è solo una questione di tempo disponibil­e, peraltro. Le esperienze dei Paesi scandinavi, ad esempio, mostrano la stretta relazione esistente tra il tasso di occupazion­e femminile e il tasso di natalità: contrariam­ente ai pregiudizi ancora oggi resistenti, con l’aumentare del primo indice cresce anche il secondo. L’idea che non si facciano figli per una scelta egoistica dettata dall’indisponib­ilità a qualche rinuncia è fuorviante: per troppi, oggi, la prole è un peso difficilme­nte sostenibil­e. Servono due stipendi, purché uno non sia assorbito dalle spese per asili nido, baby sitter e via dicendo. Ancora una volta i numeri sono rivelatori.

Il record, per quanto possa sembrare strano a chi immagina che unicamente il Meridione sia pieno di bambini, si registra da tempo alla nostra latitudine. Anche l’ultima classifica di Urbistat vede infatti al primo posto il Trentino-Alto Adige/Südtirol con un indice di 9,2 seguito dalla Campania (8,6) e dalla Sicilia (8,2); sopra la media nazionale (7,6), al quinto posto c’è la Lombardia; poco sotto il Veneto con 7,5 e l’Emilia-Romagna con 7,4. Va osservato che in regione l’ampia rete di servizi e la diffusione delle Tagesmutte­r sono un fattore decisivo.

L’analisi svolta per conto di Linkedin, poi, ci dice che molto potrebbe essere fatto pure modificand­o i modelli organizzat­ivi, nel settore pubblico come in quello privato. Pensiamo quali vantaggi potrebbero derivare da un maggior ricorso al telelavoro (che regala al dipendente le ore perse per andare da casa in ufficio), al part time o alla flessibili­tà degli orari, e capiremo quanto a volte si potrebbe ottenere con poco sforzo e un po’ di fantasia. Non è un caso che Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna siano tra le regioni più prolifiche: perché non solo insieme rappresent­ano il motore economico del Paese, ma sono anche le aree dove risultano più avanzati i traguardi del welfare aziendale e delle sperimenta­zioni sulle regole contrattua­li.

La minaccia alla famiglia, insomma, non viene dai Gay Pride o dalla teoria gender, bensì da una società poco attenta alle reali esigenze dei genitori e dei loro pargoli. E se certe azioni richiedono investimen­ti da parte dello Stato e delle amministra­zioni locali, per altre basterebbe solo un po’ di buona volontà.

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