Lo scandalo delle bare dal Veneto Cresta sulla cremazione, un indagato
L’accusa: vilipendio e gestione illecita di rifiuti. La cooperativa: niente di ingiurioso o di illegale
TRENTO Aprivano le bare con il piccone, tra motori, pneumatici e bidoni di olii, e poi dividevano le spoglie dalla bara in legno e zinco. Suddividevano poi i poveri resti in sacchi di nylon e successivamente in scatole di cartone sigillate, mentre le casse funebri venivano sezionate e separate in sacchi diversi per lo smaltimento del legname e la vendita dello zinco. Oltre a questo vantaggio economico, secondo l’accusa, la cooperativa Linea momenti di Pergine di Guido Beber, 65 anni, in possesso del trasporto delle bar, anziché inviare subito ai forni crematori avrebbero tratto un vantaggio anche dai minori costi di cremazione, stimato in circa 400 euro a salma.
E se si pensa che negli ultimi 3-4 mesi di attività nel capannone dell’area artigianale ex Samatex di Scurelle, dove sono state rinvenute 27 bare contenenti resti di persone estumulate/esumulate da numerosi cimiteri del Veneto (dalle province di Venezia, Padova, Treviso e Vicenza), sono transitate 150-200 salme, si calcola un giro di affari di almeno 250-300.000 euro. Un calcolo dedotto anche dal traffico di zinco: 6.000 chili secondo i documenti rinvenuti.
La Procura ha disposto il sequestro del capannone e aperto un fascicolo per vilipendio di cadavere e gestione illecita di rifiuti iscrivendo nel registro degli indagati il titolare e responsabile amministrativo della cooperativa Guido Beber. Al vaglio le posizioni dei tre operai e della segretaria, trentini.
Dopo il rinvenimento delle bare da parte dei carabinieri del Noe di Trento, intervenuti con i colleghi di Borgo Valsugana e della polizia locale della Valsugana e Tesino, cominciano ad emergere i macabri dettagli dell’operato della cooperativa, che ha lasciato basiti gli inquirenti. A cominciare dal luogo dove venivano eseguitele traslazioni, la separazione da ciò che non è cremabile, la bara dalle spoglie, per mandare ai forni crematori: un costo con la bara di 800 euro, senza di 400. E qui ci sarebbe stato l’affare, secondo l’ipotesi di reato al vaglio della procura.
«Nessun traffico di salme, nessun vilipendio — replica l’avvocato Paolo Frizzi, legale di Beber — ogni feretro è entrato per la traslazione con i documenti autorizzati dal sindaco». Spiegando poi il rapporto tra i servizi di onoranze funebri e la cooperativa di servizi cimiteriali e funerari a capo di Beber. «Sono i familiari ad affidarsi a ditte specializzate per la cremazione, ma non tutti possono cremare il proprio caro per intero, così le pompe funebri si rivolgono a chi fa questi trasporti e traslazioni, dopo aver avuto le autorizzazioni necessarie».
Restano i dubbi sul luogo delle operazioni. Un capannone, di proprietà di un bresciano, con attività promiscue, in parte officina pneumatici, auto smontate e carriole, e le bare con i resti delle povere salme in mezzo. In un luogo, tra l’altro, non sacro. Come si trattasse di una normale attività di differenziazione e smaltimento rifiuti.
La scoperta dell’attività è stata fatta dalla polizia locale: dopo aver notato che all’interno del capannone apparentemente abbandonato si trovavano persone intente a lavorare e non avendo ricevuto spiegazioni esaustive su quanto facessero e sentendo emissioni di odori sgradevoli, hanno allertato i carabinieri del Noe e della compagnia di Borgo per gli accertamenti. I carabinieri hanno così rinvenuto delle salme umane e hanno allertato il personale dell’Ufficio di igiene e sanità pubblica provinciale, che ha accertato una condizione di generale degrado delle 24 bare accatastate contenenti le spoglie di defunti provenienti da differenti aree cimiteriali del Veneto, mentre altre tre casse in zinco si trovavano ancora aperte sul pavimento. Una scena raccapricciante.
I successivi accertamenti hanno permesso di stabilire che la cooperativa sociale, in possesso delle autorizzazioni per il trasporto dei defunti, anziché portare come previsto le salme dai cimiteri ai forni crematori del Nord, le depositava nel capannone di Scurelle dove provvedeva a separare le spoglie dei defunti dalla casse. Tale modalità di gestione permetteva, secondo l’accusa, di ottenere alla cooperativa un vantaggio economico dovuto dai minori costi di cremazione, stimato in circa 400 euro a salma. È al vaglio degli inquirenti la documentazione amministrativa–ambientale acquisita nel corso delle attività dalle quale, al primo esame, si ritiene che negli ultimi mesi siano transitate dal capannone di Scurelle molte salme. Le indagini sono solo all’inizio.