Il capannone degli orrori, lo scandalo si allarga: ci sono Comuni altoatesini
Salme anche dal Trentino e dall’Alto Adige. La Cooperazione: non è nostra associata
TRENTO Il giro d’affari della «Linea Momenti» di Pergine Valsugana era decisamente importante. Setacciando documenti, atti e contratti, acquisiti nella sede di via Doss dela Roda di Cirè, i carabinieri del Nucleo operativo stanno scoprendo un gigantesco business economico della società di pompe funebri perginese che era riuscita ad accreditarsi non solo in Veneto, ma praticamente in tutto il Trentino e in alcuni Comuni dell’Alto Adige. Forse i prezzi bassi erano appetibili o il servizio offerto, certo è che a quella che tecnicamente era una «cooperativa di produzione e lavoro a mutualità non prevalente» il lavoro non mancava. Il Noe ha infatti trovato contratti con altri 24 Comuni, la maggior parte del Trentino e dell’Alto Adige, ma anche alcuni altri piccoli Comuni del Veneto, per decine di migliaia di euro.
L’ipotesi che molte spoglie di defunti trentini e altoatesini siano finite nel capannone degli orrori di Scurelle è tutt’altro che remota. Nell’edificio, secondo la ricostruzione fatta dal Noe, sono transitate 150-200 salme riesumate cimiteri del Veneto, ma ora i militari stanno effettuando verifiche anche su tutti gli altri contratti stipulati dall’azienda perginese. La lista dei Comuni è lunga: Isera, Laste Basse, Luserna, Bieno, Besenello, Scurelle, Cinte Tesino, Ospedaletto, Albiano, Castelnuovo, Torcegno, Castel Tesino, Folgaria, Telve di Sopra, Borgo e Pieve Tesino, per quanto riguarda il Trentino, poi ci sono Laives, Ora e Egna per l’Alto Adige e ancora per il Veneto spuntano i Comuni di Chiuppano, San Pancrazio, Val d’Astico, Pedemonte e Lastebasse.
È un lavoro enorme e delicato quello che spetta ai carabinieri che dovranno verificare ogni singolo contratto per valutare quali servizi prevedeva e se la stessa metodologia di smaltimento utilizzata per la salme trovate nel capannone di Scurelle sia stata adottata anche per le spoglie riesumate nei cimiteri trentini e altoatesini. È uno spaccato macabro quello che affiora dall’indagine dei carabinieri e della polizia locale di Borgo Valsugana sulla gestione delle spoglie dei defunti che venivano trattate in spregio delle regole igienico sanitarie, violando le normative di smaltimento, che sono piuttosto stringenti. Un modus operandi, quello tracciato dagli investigatori, pare giustificato solo da logiche economiche e di risparmio. Le bare venivano aperte nel vecchio edificio, in mezzo a motori, pneumatici e bidoni di olii, e le spoglie venivano poi sistemate in scatoloni di cartone che venivano trasferiti al forno crematorio. Il legno veniva smaltito, mentre lo zinco veniva venduto. L’operazione permetteva un risparmio di circa 400 euro a bara, ma il Comune o la famiglia che aveva richiesto la riesumazione del proprio caro avrebbero pagato la cifra intera, ossia 800 euro. Questa è la tesi su cui sta lavorando la Procura che valuterà se contestare al titolare dell’azienda, Guido Beber, 65 anni, anche un’ipotesi di truffa. Dalle visure camerali emerge che l’azienda (ora diventata srl) aveva una decina di dipendenti e offriva un servizio di gestione cimiteriale completo. La macabra scoperta ha lasciato tutti increduli. «È una vicenda che sconcerta. Anche nel fare impresa esistono dei limiti etici, si è superata l’umana decenza» commenta il segretario della Cgil del Trentino, Franco Ianeselli. Ma sul triste caso interviene anche la Federazione Trentina della Cooperazione. «Si tratta di una cooperativa che non aderisce alla Federazione, e per questo a noi sconosciuta — ha dichiarato la presidente Marina Mattarei — che peraltro ha recentemente deliberato la trasformazione in srl. Siamo certi che la magistratura saprà fare luce su quanto accaduto, tutelando la vera cooperazione che quotidianamente opera in ogni angolo del Trentino con senso di responsabilità e profondo rispetto delle regole».