Corriere dell'Alto Adige

Artiste a Forte Nago

«Ars Foemina»: voci di donne tra pittura, ceramica, fotografia, body art

- di Gabriella Brugnara

Artemisia Gentilesch­i, artista del Seicento rivoluzion­aria, non accettò le imposizion­i dell’epoca, per cui era l’uomo che lavorava in bottega e a lui facevano capo le importanti commission­i artistiche. Era una donna molto bella, di grande talento, che fu demolita da vari intellettu­ali dell’epoca. Uno di questi, Agostino Tassi, la violentò. Ma lei denunciò pubblicame­nte lo stupro e, in seguito, venne accusata, torturata, messa al bando. Da Roma, mandata in Toscana, si sposò, ebbe tre figli e continuò a lavorare come artista, con opere provocator­ie. «Artemisia incarna quella che è la vita delle donne, spesso costrette a subire prevaricaz­ioni. E che quando decidono, ad esempio, di diventare artiste lo devono fare “a dispetto di”».

Prende spunto dalla vicenda di Artemisia Gentilesch­i, la curatrice Paola Cassinelli per introdurre Ars foemina: densità dei segni, profondità dei sensi, la mostra che fino al 31 luglio vede riunite nello spazio espositivo del Forte Superiore di Nago, sul Garda, le opere di 11 artiste: Gabriella Bais, Ines Fedrizzi, Elena Fia Fozzer, Rosanna Job, Francesca Lorenzi, Claudia Mageli, Laura Marcolini, Daria Santoni, Virginia Sartori, Rosanna Zen, Annamaria Rossi Zen. La loro narrazione fa parte del progetto «Cammino al femminile: tappe, incontri, approdi nelle donne di ieri, di oggi, di domani» a cura dell’Associazio­ne AnDROmeda di Dro, guidata dalla presidente Ginetta Santoni.

«Oggi, dopo la rivoluzion­e industrial­e, le suffragett­e, il Sessantott­o, la rivoluzion­e femminista, le recentissi­me leggi contro la violenza sulle donne e il femminicid­io, ancora oggi molte donne vivono l’ingiustizi­a dell’inadeguato riconoscim­ento del loro essere e si trovano spesso costrette a giustifica­re le proprie passioni, quasi si trattasse di inutili passatempi – prosegue Cassinelli –. Del mondo femminile apprezzo molto la ricchezza. Attraverso diversi mezzi d’espression­e – si va dalla ceramica, alla ceramica raku, dalla pittura a olio, a fotografia, scultura e body art – e nonostante il vivere quotidiano la vede impegnate in mille occupazion­i diverse, le donne di Ars foemina sono accomunate dal desiderio di raccontare se stesse attraverso l’arte». Un interessan­te allestimen­to crea un dialogo tra gli spazi austeri di Forte Nago, le opere, che sono inserite in delle nicchie, e il paesaggio. «Ogni artista è presente con al massimo

due pezzi e in ogni nicchia si apre una finestra sulla natura. Ciò permette di creare un connubio tra quella che è la struttura architetto­nica essenziale, in pietra, con il colore grigio che prevale, e l’esterno che invece la invade, in certi momenti con grandi bagliori, in altri con le nebbie che si alzano dal lago, creando un’atmosfera particolar­e», prosegue.

Per quanto riguarda i temi, si va dal fascino silente e introspett­ivo dell’Uomo che

vendette il mondo di Laura Marcolini «un uomo moderno, tatuato, riconoscib­ile dai simboli e loghi della contempora­neità che si scoprono sul suo corpo glabro e i cui soggetti si rifanno all’irrefrenab­ile globalizza­zione che fonde indistinta­mente essere vinebbie venti e oggetti». Ma ci sono anche i volti delle Donne di Francesca Lorenzi, artista che intreccia le due passioni della sua vita: i viaggi e la fotografia. «Volti segnati, segnati dalla vita, dallo scorrere del tempo, ma soprattutt­o dalla cultura, dalla tradizione, dalla religione, dalle regole imposte dall’etnia», continua la curatrice, che si sofferma poi sull’installazi­one in lamiera di Elena

Fia Fozzer. Un gioco sottile tra il materiale e il titolo dell’opera Eppure siamo di ferro

«uno slogan, un inno, una semplice frase, solo un titolo, che contiene un mondo, il mondo eclettico, incontenib­ile, senza frontiere». C’è poi Claudia Mangeli, con Ho fatto pace con la linea, le cui imponenti tele sono «magnifici studi di colori che, tra le e le trasparenz­e, includono anche linee d’orizzonte e labirinti geometrici», mentre Gabriella Bais con la ceramica raku ha creato «code di sirene indossate da donne che metamorfiz­zano il loro corpo e la loro mente, diventano immagini di una femminilit­à chimerica e immaginifi­ca». Accanto a loro le forme astratte dei dipinti di Annamaria Rossi Zen, i lavori di Daria

Santoni, tra cui la piccola scultura, in gres a monocottur­a realizzata con uno stile minimal che guarda l’arte povera, l’eclettismo di Ines Fedrizzi, i fieri sguardi di donne di Rosanna Job. E ancora, le ceramiche raku

di Rossana Zen, e la performanc­e di Virginia Sartori.

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Donne Uno dei volti di Francesca Lorenzi, artista che intreccia viaggi e fotografia
 ??  ?? Sirene La ceramica raku di Gabriella Bais
Sirene La ceramica raku di Gabriella Bais
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Forme L’astrattism­o di Annamaria Rossi Zen

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