I TANTI CROCIFISSI DI OGGI
La solennità pasquale evoca, per cristiani e non, un misto di sentimenti. Da un lato si parla di sofferenza, di croce, di ingiustizia. Dall’altro si proclama il trionfo della vita, della verità, dell’amore. Pasqua non è però il copione di un film di Hollywood ma un video sulla vita umana, ove si intrecciano i chiaroscuri che formano le due facce della moneta del nostro vivere.
La vicenda di Gesù diventa fede per i cristiani e monito per tutto il genere umano. Afferma che, alla fine, il fattore Dio (o «destino», per chi non crede) bilancia le vicende e rende giustizia a chi la merita.
Naturalmente, se l’uomo collabora con tale principio, le cose si svolgono in maniera più serena. Altrimenti ci troviamo di fronte all’ignavia di nuovi Pilati, al tradimento di nuovi Giuda, alla violenza di nuovi Erode.
Pasqua ci ricorda quanto mutevole sia l’umore delle folle, che in breve spazio passano dall’«osanna» dell’esaltazione al «crucifige» del giudizio sommario.
Tanti crocifissi, tante persone che loro malgrado sono costrette ad una vita grama o insicura, rattristano la storia dei nostri giorni. Bene ne ha scritto don Luigi Ciotti dell’Associazione Libera, nel suo recente libretto «Lettera a un razzista del terzo millennio».
Gesù è stato messo a morte anche perché non era razzista, non discriminava per motivi di purezza rituale, non scavava un solco tra «noi» e «gli altri».
Anzi, san Paolo nella lettera agli abitanti di Efeso sostiene che lui ha abbattuto il muro di separazione che era frammezzo, cioè l’inimicizia. Anche papa Francesco ritorna spesso sull’esigenza di costruire ponti e non muri fra le culture. Ma i suoi appelli sortiranno un effetto sulle coscienze dei capi dei popoli e sui cittadini del nostro millennio? Riuscirà a promuovere un ritorno alla spiritualità e alla devozione vera? Lo credo difficile. Di positivo vedo invece che la Chiesa non è più da annoverare tra coloro che mettono in croce qualcuno e che lo spirito del Vangelo ha permeato molti laici, che nonostante non
credano in Dio, sono motivati a portare nel mondo segni di speranza e di resurrezione: penso a Greenpeace, Emergency, Medici senza Frontiere e così via.
Dobbiamo ammettere che la crocifissione di Gesù aveva creato inimicizia principalmente tra i cristiani e gli ebrei, portando alla persecuzione dei secondi, bollati come «deicidi», mentre lui stesso in croce aveva ribadito che «non sapevano quello che facevano». Il Concilio Vaticano II ha ribadito che Cristo non è morto a causa della cattiveria umana, ma per amore, per darci un esempio di fiducia radicale nel Padre, fiducia assoluta che costituisce in fondo la vera salvezza dell’uomo. Anche molte persone del nostro tempo non si rendono conto di quello che fanno quando sviluppano atteggiamenti duri e disumani verso chi pende dalla croce della precarietà, della persecuzione, della guerra, delle catastrofi ambientali, sempre più numerose.
Ed è invece spesso colpa della nostra superficialità, del nostro egoismo, della nostra supponenza, se anche oggi tante, troppe persone finiscono sulla croce di una vita misera, di un’esistenza di stenti e pericoli. Celebrare la Pasqua significa allora anche condividere la sofferenza di Dio per l’incoerenza dell’uomo e formulare il fermo proposito di convertirsi a maggiore umanità, di far morire l’uomo vecchio per far nascere quello che padre Balducci definiva «l’uomo planetario», ovvero l’abitante sereno di una Terra che è «casa comune di tutti i viventi».
Questa sintonia tra la sofferenza umana e quella di Dio la descrive molto bene un martire del Novecento, il pastore e teologo Dietrich Bonhoeffer, ucciso dal nazismo nell’aprile 1945, ovvero esattamente settantaquattro anni or sono: «Uomini vanno a Dio nella loro tribolazione, piangono per aiuto, chiedono felicità e pane, salvezza dalla malattia, dalla colpa, dalla morte. Così fanno tutti, tutti, cristiani e pagani. Uomini vanno a Dio nella sua tribolazione, lo trovano povero, oltraggiato, senza tetto né pane, lo vedono consunto da peccati, debolezza e morte. I cristiani stanno vicino a Dio nella sua sofferenza. Dio va a tutti gli uomini nella loro tribolazione, sazia il corpo e l’anima del suo pane, muore in croce per cristiani e pagani e a questi e a quelli perdona».
La Pasqua rivela l’amarezza della vita umana, ma anche la possibilità di renderla più dolce con l’apporto del proprio impegno per la giustizia, della propria speranza profusa per un mondo migliore. Se lo speriamo e operiamo in questo senso, la Pasqua non sarà solo un memoriale di passato ma una visione e un progetto di futuro.