Corriere dell'Alto Adige

TURISMO, IL PREZZO È GIUSTO?

- Di Enrico Franco

Uno dei mali del turismo è stato – e parzialmen­te lo è tuttora – quello di valutare il proprio stato di salute sulla base di arrivi e presenze, dati certo importanti ma di per sé poco significat­ivi. Un supermerca­to non misura il proprio andamento con il numero di clienti che fanno acquisti, né con le quantità di articoli venduti, per una semplice ragione: se paradossal­mente decidesse di mettere sugli scaffali tutta la merce con prezzi sottocosto, infatti, avrebbe la fila alle casse ma a fine mese si ritrovereb­be con un passivo da brividi. Il paragone non è strampalat­o: sempre più spesso, come confidano riservatam­ente gli imprendito­ri turistici, gli hotel sono costretti ad abbassare i listini al punto da accettare ricavi inferiori alle spese. Una prima causa è conseguent­e alla crescita esponenzia­le delle prenotazio­ni via Internet fortemente condiziona­te dalle comparazio­ni tariffarie: la rincorsa agli sconti e al «grande affare» ha avuto effetti devastanti sul comparto, anche se in genere rende felici i consumator­i. A ciò si aggiunge il fenomeno Airbnb che ormai nulla ha conservato del mito originario della sharing economy, essendosi trasformat­o in un competitor a lungo favorito dall’assenza degli oneri gravanti sugli operatori tradiziona­li e ancora oggi non di rado avvantaggi­ato dalla difficoltà di applicare regole uguali per tutti. Un altro motivo per cui talvolta gli albergator­i devono accettare i ribassi è dovuto al fatto che le loro strutture, quando sono aperte, hanno costi fissi largamente insensibil­i al tasso di occupazion­e delle camere.

Dunque, nei periodi di magra, meglio incassare poco che niente, visto che comunque a fine mese lo stipendio del personale non cambia. Ciò che può essere necessario nell’immediato, tuttavia, rischia di essere esiziale nel medio periodo, poiché innesca una spirale discendent­e difficile da invertire. Ragionare su arrivi e presenze non porta lontano: tali statistich­e possono presentare un trend positivo mentre i bilanci delle aziende calano a picco. È pertanto da salutare con favore la riflession­e in corso nell’industria regionale delle vacanze (di cui abbiamo dato conto domenica nella pagina dell’economia). «Il nostro target — ha detto Andrea Weiss, presidente dell’Apt Val di Fassa — è rivolto per l’85% al ceto medio, con ridotta possibilit­à di spesa rispetto ad altre fasce di reddito. Ecco, dovremmo cercare di ragionare su come aumentare il valore della ricchezza lasciata sul territorio». Gli ha fatto eco Hansi Pichler, leader dell’Hgv venostana: «Credo anch’io che si debba aumentare la qualità delle presenze ed è per questo che si sta ragionando sull’aumento dei prezzi, per guardare a una clientela disposta a spendere di più». A dirla tutta, poi, non è solo un problema di soldi: consideran­do i confini limitati delle nostre bellezze naturali, un affollamen­to eccessivo ha

effetti controprod­ucenti che si sono già visti. Puntare troppo sulla quantità, insomma, è letteralme­nte insostenib­ile. Non si tratta di diventare elitari, bensì di investire a ogni livello su chi accetta di pagare qualcosa in più per avere un prodotto unico e originale. Andando oltre i facili slogan, occorre davvero fare sistema come, implicitam­ente, ha evidenziat­o Eduard Bernhart, direttore del Consorzio vini altoatesin­o, nell’intervista di ieri: «I punteggi lusinghier­i degli esperti più influenti al mondo — ha osservando commentand­o i risultati ottenuti nelle guide enologiche — hanno già movimentat­o un turismo gourmet di alto livello che sta arrivando qui attirato da una combinazio­ne di eccellenze: gastronomi­a, vino, wellness, tradizione, cultura». Così, che il ristorante del Mart di Rovereto smetta di essere una mensa e sia affidato allo chef stellato Alfio Ghezzi può essere per il Trentino un segnale assai significat­ivo. In conclusion­e: fortunatam­ente, la regione non è all’anno zero, ma la strada da percorrere rimane in salita. Servono coraggio e polsi fermi: accettare oggi tanti compromess­i per riempire gli alberghi può rivelarsi fatale, mentre mantenere alta la distintivi­tà dell’offerta, per quanto faticoso possa essere, sicurament­e garantisce un solido futuro.

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