Schwoch: gol, pizza e Napoli nel cuore
L’attaccante bolzanino oggi è promotore finanziario e commentatore per Dazn
Ai canederli preferisce la pizza. Stefan Schwoch è un bolzanino atipico con il cuore a Napoli. E sotto il Vesuvio il più prolifico cannoniere nella storia della Serie B, ha scritto alcune tra le pagine più belle nella sua straordinaria carriera calcistica. Vent’anni sempre all’attacco vissuti anche con le maglie di Livorno Ravenna, Spal, Torino, Venezia, Vicenza. A una decina d’anni dal ritiro, Schwoch lavora come promotore finanziario e commentatore tecnico per Dazn.
BOLZANO Una vita da goleador. La racconta e si racconta Stefan Schwoch, 50 anni a ottobre e bolzanino dal “cuore napoletano”, ma soprattutto il più grande talento calcistico prodotto dall’Alto Adige. Bomber di razza, è tuttora recordman di goal in Serie B, categoria in cui è andato a segno ben 135 volte. Dopo gli inizi nella Passirio Merano, ha vestito le maglie di club gloriosi quali Spal, Venezia, vorno, Torino e soprattutto della “sua” Napoli. All’ombra del Vesuvio, infatti, è stato il protagonista assoluto dello storico ritorno in Serie A del 2000 con 22 centri stagionali in campionato. Fu proprio una rete da lui siglata in una drammatica partita contro la Pistoiese, in lotta per non retrocedere, a decretare il passaggio nella massima categoria degli azzurri e a far esplodere di gioia i tifosi assiepati appena dietro le strisce del rettangolo di gioco. Storie di calcio vero, “respirato”, di un pallone non ancora entrato nell’era del digitale, delle multinazionali cinesi e degli sceicchi. Forse per questo più autentico. Oggi, Schwoch vive a Vicenza con la moglie Lara e ha tre figli: Jacopo (28 anni), Tommaso (18) e il piccolo Mattia (10). Proprio nella città di Palladio, ha vestito i blasonati colori della Lanerossi, la squadra che ha lanciato, tra gli altri, due fuoriclasse assoluti come Paolo Rossi e Roberto Baggio, entrambi vincitori del Pallone d’oro. In questa compagine ha trascorso sette stagioni, diventandone prima capitano e poi, terminata la carriera di calciatore, direttore sportivo. Questa è stata l’ultima esperienza prima di lasciare definitivamente il calcio, un ambiente in cui spesso «le conoscenze» valgono più di competenza e professionalità. Schwoch lo ha abbandonato senza rimpianti, con una bruciante finta alla Romario, altra indimenticata leggenda a cui somigliava per movenze e fiuto del gol.
«Mi ero stancato di rincorrere persone, delle mille telefonate a vuoto e del tempo perso, così ho deciso di fare altro», rivela con una punta di amarezza e tanto orgoglio da vendere. Consulente finanziario di professione e commentatore tecnico per Dazn, Schwoch ha l’hobby del golf e non disdegna mai di aprire la sua valigia da attaccante di razza, piena di goal e straordinari aneddoti.
Qual è il primo ricordo importante su un campo di calcio?
«Di momenti importanti ce ne sono stati tanti. Mi vengono in mente il primo goal tra i professionisti con la Spal e poi quello in Serie A contro l’Udinese, o la rete della promozione con il Napoli. Ma li ricordo tutti con grande affetto».
Ecco, cristallizziamo il tempo nell’attimo in cui la rete si gonfia. Che emozione si prova a quei livelli?
«Difficile trasmettere la sensazione. Da attaccante, ti prepari tutta la settimana per quel momento e quando ci riesci, provi una gioia indescrivibile».
Un bomber di razza come lei avrà avuto senz’altro qualcuno a cui ispirarsi...
«Avevo tre idoli: Van Basten per l’eleganza, Batistuta per la cattiveria, Careca per la classe. L’attaccante del Napoli mi piaceva così tanto che già in C2 calzavo le scarpette “Modello Careca”. Ci ero così affezionato che non ricordo nemmeno quante volte le ho rattoppate, anche perché, all’epoca, te ne passavano un solo paio. Le ho usate finché, durante una partita, una suola non cedette».
Ha avuto un punto di riferimento tra i compagni di squadra?
«Peppino Brescia di Trani. Quando eravamo insieme alla Spal lo stimavo per il metodo di lavoro, la grinta, la passione. Se però dovessi indicare un nome su tutti come modello, direi Paolo Maldini pur non avendo mai avuto la fortuna di giocarci insieme. Lo stimavo per il comportamento dentro e fuori dal campo e per ciò che trasmetteva ai suoi compagni. Un fuoriclasse completo».
Di quale squadra controlla per prima il risultato?
«Sono legato a tutte le mie ex-squadre ma scelgo Napoli per tifo e interesse».
Pensando alla Sua esperienza all’ombra del Vesuvio, viene in mente una data su tutte: il 4 giugno del 2000 a Pistoia e il bellissimo goal di punta in anticipo sull’intervento del difensore.
«Il giorno del ritorno in Serie A… indimenticabile. Siamo stati bravi a mantenere l’1-0 con la Pistoiese che giocava per salvarsi. Il mister mi sostituì a cinque minuti dalla fine perché ero diffidato e non voleva perdermi per l’ultima partita, nel caso non avessimo portato a casa il risultato. C’era una tensione pazzesca con la gente assiepata a bordo campo. L’arbitro Cesari fu bravissimo a gestire la situazione».
Da Bolzano a Napoli: un salto enorme. Com’è stato ambientarsi lì e che ricordo ha di quegli anni?
«Io sono un bolzanino atipico: mio padre è abruzzese e mia madre di Palermo. Per questo motivo, dico che l’ambientamento non c’è mai stato. Napoli mi piaceva e mi ritrovo nel modo di vivere del Sud. La gente mi ha accolto alla grande e, se devo dirla tutta, mi piace persino il modo in cui si guida lì. Mi trovo sempre benissimo anche se con Bolzano non ha nulla in comune».
Meglio la pizza o i canederli?
«Pizza, se non altro per la varietà di scelta però anche i canederli sono molto buoni».
Arriviamo al giugno 2008, a Lecce. L’arbitro fischia tre volte e la sua carriera finisce. A distanza di undici anni, quanto è stato difficile reinventarsi?
«Non è stato particolarmente difficile. Giocare a calcio è il lavoro che tutti vogliono fare, ma si può vivere benissimo anche senza. Giocare era un divertimento, in più mi pagavano per farlo: sono stato davvero fortunato. Appendere le scarpette al chiodo però non è stata dura. Sapevo che avrei dovuto rimboccarmi le maniche e così ho fatto».
La gioia e il rimpianto più grandi della sua carriera?
«Il rimpianto è aver giocato poco in Serie A. Le gioie più grandi sono state le promozioni nella massima categoria. A Napoli ho vissuto l’esperienza più bella e il modo in cui spesso viene rappresentata la città è assolutamente distorto».
Vede qualcuno in grado di mettere a rischio il suo record di goal in Serie B?
«Daniele Cacia ne ha ancora la possibilità dato che gli manca un solo goal per raggiungermi, anche se ha 36 anni e ora gioca in Serie C».
Chi sceglierebbe come compagno di reparto ideale?
«Mi sarebbe piaciuto avere accanto Ronaldo, il “Fenomeno”. Tra quelli con cui ho giocato, invece, scelgo il mio amico Massimo Margiotta, Michele Cossato e Roberto Stellone, uno dei più forti compagni che ho avuto».
Un pronostico sul campionato?
«La Juve è ancora troppo avanti. I bianconeri sono gli unici in Italia che hanno potere, soldi e appeal per farlo. Sono convinto che continueranno a comprare giocatori fortissimi finché non arriveranno a vincere la Champions League».
Meglio il calcio di ieri o quello attuale?
«Difficile dirlo. Sicuramente oggi il calcio è più un business, con le società maggiormente al centro della scena. Forse rispetto al passato c’è meno sentimento, anche se poi ogni epoca ha le sue prerogative. Siamo nell’era delle tecnologie, dei social e non si può vivere fuori dal proprio tempo. Mi Ricordo che una volta per vedere i goal bisognava aspettare le 18 e 90° minuto: era un appuntamento fisso, un rito. Ora con lo smartphone, vedi tutto in tempo reale».
Vedremo mai un altoatesino in nazionale?
«Me lo auguro anche se il calcio nella provincia di Bolzano è poco gettonato. A parte il Südtirol in Serie C, infatti, non ci sono altre realtà di rilievo».
Emozioni
Tra i momenti più belli ci sono il primo goal da professionista con la Spal e la rete al San Paolo con cui riportai i partenopei in Serie A
Il migliore
Paolo Maldini è un fuoriclasse assoluto, non solo in campo: non ho avuto la fortuna di giocare con lui, ma è un modello da studiare
Ieri e oggi
Ora il calcio è più un business, con le società più al centro della scena, mentre in altre epoche forse c’era più spazio per i sentimenti