Turone, il magistrato divulgatore «Insegno la storia del dopoguerra»
Il giudice emerito ospite venerdì dell’Accademia meranese
MERANO Ha incriminato l’allora capo della mafia Luciano Liggio. S’è occupato di inchieste che hanno fatto la storia, come quelle su Michele Sindona, l’omicidio di Giorgio Ambrosoli, la Loggia P2. Giuliano Turone, giudice emerito della Corte di Cassazione e autore di libri sulle più scottanti e inquietanti vicende di criminali, terroristi e mafiosi che hanno tramato contro l’Italia, arriva all’Accademia di Merano per un incontro e l’intervista con il giornalista Federico Guiglia, alle 18. Nel faccia a faccia il magistrato racconterà quanto ha ricostruito nel suo ultimo e documentato volume da poco pubblicato: «Italia occulta», edito da Chiarelettere.
Giudice, chi è stato Luciano Liggio?
«Luciano Liggio è stato per molti anni il capo assoluto di “cosa nostra” ed è rimasto tale per qualche tempo anche dopo il suo arresto del 1974, per essere poi sostituito dal suo luogotenente Totò Riina. La latitanza di Liggio a Milano era in qualche misura protetta da ambienti vicini ai servizi, tanto è vero che era previsto che “cosa nostra”, per suo tramite, avesse qualche ruolo da svolgere nel golpe Borghese del 1970, poi abortito. È molto probabile che la cattura di Liggio a Milano sia stata in qualche misura agevolata, grazie a una soffiata confidenziale pervenuta nella primavera del 1974 agli ufficiali della Guardia di Finanza che lavoravano con me».
Divulgare, ragionare, informare: quale è da anni il suo impegno civile?
«Sono anni, ormai, che ho smesso di scrivere per gli addetti ai lavori. Il tempo libero
che oggi ho, come magistrato a riposo, intendo dedicarlo proprio alla divulgazione. Quel poco o tanto che ho imparato in quaranta e più anni di professione giudiziaria desidero metterlo a disposizione delle nuove generazioni, scrivendolo con una prosa
piana e facilmente comprensibile a tutti. La mia materia, quindi, non è più tanto il diritto, quanto la storia contemporanea dell’Italia, con particolare riguardo ai decenni successivi alla seconda guerra mondiale, contrassegnati da eventi criminosi tragici e gravissimi».
Lei è stato anche docente di Tecniche dell’investigazione all’Università Cattolica di Milano: che cosa vuol dire indagare con gli strumenti delle leggi e dei codici?
«Il magistrato inquirente, oggi il pubblico ministero, dirige la fase delle indagini di ogni procedimento penale, avvalendosi dell’operato degli ufficiali di polizia giudiziaria e vigilando che le indagini vengano condotte rispettando le regole prescritte dal codice di procedura penale e, a monte, nel rispetto dei principi costituzionali. Sia ben chiaro che anche le forze dell’ordine indagano “con gli strumenti delle leggi e dei codici”, ma il pubblico ministero è una sorta di direttore d’orchestra, indipendente dal potere esecutivo».