Lo chef al museo Un’idea che fa scuola
Troppo scontato e superficiale dire che un piatto è come un’opera d’arte. Lo è (scontato e superficiale), perché arte e cucina, va detto, sono due cose diverse. Inutile girarci intorno. Non vi è al mondo uno chef che possa eguagliare un dipinto di Mark Rotkho. Ed è solo il primo nome che mi viene in mente. Sono due mestieri diversi. A scanso di equivoci, non voglio sminuire o mettere in secondo piano la cucina, che anzi adoro (fin troppo…), voglio soltanto provare a collocarla nello spazio che a mio avviso le appartiene. Il cuoco, l’unico per il quale notoriamente si sono sprecati in molti in titolazioni che affiancavano i suoi piatti alle opere d’arte è
stato Ferran Adrià. Al punto che una rassegna internazionale di arte contemporanea del calibro di Documenta a Kassel (Germania) lo ha invitato a partecipare come artista tout court, sdoganando ulteriormente la cucina e dandole un potere che ancora non aveva. Siamo nel 2007, l’edizione della prestigiosa rassegna quinquennale è la dodicesima, ma la critica spagnola, pur amando Adrià come creatore di piatti davvero unici, attaccò duramente il cuoco di El Bulli (questo il nome del suo ristorante storico aperto nel 1984) dicendogli più o meno: «Ma chi ti credi di essere, Picasso?». José de la Sota, il critico d’arte del quotidiano El Pais, espresse il seguente pensiero dalle colonne del suo giornale: «Adrià non è Picasso. Picasso non sapeva cucinare, ma era senz’altro un grande artista. Che cosa è diventata l’arte oggi? Significa ancora qualcosa o non ha più alcun valore?». Arte e cucina non sono dunque assimilabili, ma sono però certamente accostabili all’interno di uno stesso spazio. E se ora Alfio Ghezzi, dopo nove anni e due stelle Michelin fatte conquistare a Locanda Margon di Ravina (Trento) dove è stato chef, Ghezzi apre dunque il suo nuovo locale, dopo regolare bando di concorso, all’interno del Mart di Rovereto. Seguendo senza dubbio una sua idea precisa, ma anche una tendenza che si è consolidata negli anni. Quella del ristorante all’interno di un museo. E se per ora al Mart si parla soltanto della caffetteria, nulla vieta (immaginiamo e speriamo) una possibile/eventuale futura trasformazione. I primi ad aprire un ristorante all’interno dei un museo sono stati quelli del Guggenheim di Bilbao che ha ben due locali: il Nerua (chef Josean Alija) e il Bistró. In Italia invece il primato spetta senz’altro a Davide Scabin e al suo Combal.Zero al Castello di Rivoli (Torino). Da citare il Mudec di Enrico Bartolini, al terzo piano del Museo delle Culture di Milano, nel cuore del design district. Sempre a Milano il ristorante Giacomo Arengario (nel Museo del Novecento), un chiarissimo esempio di omaggio all’Art Decò con una loggia affacciata su piazza del Duomo. In cucina da un paio di anni il giovane peruviano Jose Carlos Otoya Angulo. All’ultimo piano della Triennale di Milano troverete un ristorante guidato dallo chef Stefano Cerveni. L’esplosivo Cristiano Tomei ha spostato invece il suo ristorante di Lucca all’interno di Palazzo Pfanner, sempre nella stessa città. Villa Amistà, a Corrubio, subito fuori Verona, ospita una importante collezione permanente d’arte contemporanea. Lì lo chef Marco Perez ha il suo ristorante Amistà 33. Alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino c’è invece il ristorante Spazio 7 con la cucina di Alessandro Mecca. A Palazzo delle Esposizioni di Roma c’è lo chef Antonello Colonna con la sua squadra. Andando verso nord, direzione Toscana, Prato per l’esattezza, all’interno del Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci c’è il ristorante Myo guidato da Angiolo Barni. Per approfondire c’è il sito finedininglovers.com.