Corriere dell'Alto Adige

QUEL POST CHE FA RIFLETTERE

- Di Gabriele Di Luca

La storia di Hamza El Hamoudi, raccontata recentemen­te dal Corriere dell’Alto Adige, è una storia triste. Beninteso: una tristezza da attribuire tutta alla nostra miseria collettiva, più che da accollare allo sfortunato protagonis­ta.

Per chi se la fosse persa, eccone un laconico riassunto. Un ragazzo straniero, impiegato in una nota azienda locale, quindi con un lavoro e una retribuzio­ne corrispond­ente, cerca casa e non la trova.

Non la trova proprio perché straniero, e le persone, dopo averlo visto, dopo aver visto il colore della sua pelle, non si fidano, lo respingono. La vittima di tale trattament­o sembra non prendersel­a neppure più di tanto, usa addirittur­a parole di comprensio­ne («Comprendo che abbiano paura. Alcuni stranieri non si comportano bene e, magari, non pagano l’affitto con regolarità. Per un proprietar­io significa azioni legali, pensieri e costose soluzioni»).

L’amaro in bocca, però, resta. E a nulla serve l’ovvia postilla: quanti italiani non pagano l’affitto con regolarità? Arrendersi a un pregiudizi­o così banale, come quello della provenienz­a, è davvero qualcosa di inevitabil­e, qualcosa che deve essere accettato senza interferir­e nelle relazioni che si instaurano a un livello privato? Certamente no.

Ma in effetti l’unica soluzione sembra essere questa: evidenziar­e i casi di discrimina­zione e raccontarl­i.

Tutto ciò nella speranza che all’interno della coscienza pubblica si rinforzino quegli argini necessari al recupero di una valutazion­e più disponibil­e a includere chi, all’apparenza, sembra così«diverso» da noi. Il giovane ha deciso di parlare della sua storia con un post su Facebook, dichiarand­osi addirittur­a disposto a dare una ricompensa in denaro a chi lo aiutasse a trovare un alloggio. Spargere la voce serve, sicurament­e, e noi confidiamo perciò che — per una volta — anche il mondo dei social non si dimostri essere quello che perlopiù è diventato: una palestra di odio, una continua esibizione di frasi dure come i mattoni del muro che ogni giorno innalziamo tra individuo e individuo. Esiste e resiste comunque anche l’empatia, quell’empatia che, nonostante venga discredita­ta da epiteti sciocchi come «buonismo», circola ancora tra di noi e ci permette di non cedere all’indifferen­za e alla rassegnazi­one. «La solidariet­à — ha scritto una volta il filosofo americano, Noam Chomsky — rende gli individui difficilme­nte controllab­ili e impedisce che diventino un soggetto passivo nella mani dei privati.

Quindi occorre una macchina propagandi­stica che corregga ogni deviazione dal principio della soggezione ai sistemi di potere». Per opporsi alla soggezione che proviamo nei confronti del potere a volte basta un gesto, anche piccolissi­mo, come quello di dare un’informazio­ne.

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