Corriere dell'Alto Adige

EMIGRARE, QUEL DOPPIO FILO

Schizzerot­to: «Accostare il dipartimen­to a Curcio è pigrizia mentale»

- Di Stefano Allievi

Era ora che si aprisse un dibattito vero sulle emigrazion­i italiane verso l’estero: anche se sorprende la sorpresa per la scoperta, sono riprese, a ritmi crescenti, da anni. Ed è bene che si provi — finalmente — a mettere sul tavolo soluzioni, e non solo slogan. Ma per poterlo fare con cognizione di causa, bisogna avere un’idea realistica di quello che sta succedendo: e, ancora, non ci siamo.

La prima cosa da fare è collegare — e insieme separare — il dibattito sull’immigrazio­ne e quello sull’emigrazion­e. Collegarli concettual­mente, perché rispondono alla stessa ricerca di orizzonti migliori, che produce la mobilità umana, qualunque nome le si voglia dare: capire che i desideri e i bisogni di chi arriva sono gli stessi di chi parte può aiutarci a riumanizza­re il dibattito e al contempo a razionaliz­zarlo, uscendo dalla logica (illogica) degli slogan contrappos­ti, inutili e fuorvianti. Separarli funzionalm­ente, perché l’una non è causa dell’altra: le partenze non sono conseguenz­e degli arrivi (anzi, propriamen­te non c’entrano quasi niente: tranne per i livelli più bassi e che presuppong­ono meno — o nessuna — istruzione). Se anche non ci fossero gli arrivi, le partenze ci sarebbero comunque. E se anche non ci fossero le partenze, gli arrivi ci sarebbero comunque. Perché corrispond­ono a segmenti differenti di mercato del lavoro.

TRENTO «Sociologia ontologica­mente prona a disordini? Una tesi ardua da molti punti di vista». L’opinione è delle più autorevoli. Antonio Schizzerot­to, docente emerito di Sociologia al dipartimen­to di Trento ed esperto di diseguagli­anze e mobilità sociale, quasi sorride attraverso il microfono del telefono commentand­o i luoghi comuni che circondano lo storico dipartimen­to di via Verdi. «Il dipartimen­to è stato solo un luogo fisico nel quale si è svolto un evento poco gradevole, non uno spazio legato in maniera identitari­a a questi episodi» chiarisce.

Il giudizio del sociologo deriva dalla doppia fonte dello studio e dell’esperienza diretta: «L’idea che il dipartimen­to di sociologia sia ancora oggi legato a episodi di disordini è una forma di pigrizia mentale molto diffusa nell’opinione pubblica, che non riguarda solo i ceti popolari, ma appartenen­te in maniera trasversal­e a tutta la società. Ancora negli anni ’80 durante un convegno a Torino, il matematico e membro del Pci Lucio Lombardo Radice, sapendo che provenivo da Trento, commentò: “Dove c’è Curcio”. Ma Curcio iniziò l’attività di lotta ben dopo essersi allontanat­o sia dall’Università che da Trento».

La storia di quarant’anni fa, che vide il laziale Renato Curcio e la trentina Margherita Cagol frequentar­e le aule della neonata facoltà di Scienze Sociali prima di trasferirs­i a Milano e dare il via ai primi gruppi rivoluzion­ari che in seguito generarono le Brigate Rosse, continua a segnare in negativo la reputazion­e degli studenti di oggi. «Il retaggio storico è evidente, ma si tratta di una pigra ripetizion­e di un luogo comune», chiarisce ancora il professore. La riflession­e si sposta inevitabil­mente sugli scontri che mercoledì sera hanno segnato via Verdi prima e le porte dell’aula Bruno Kessler poi, e sulle attuali frequentaz­ioni all’interno dell’edificio, con un’importante precisazio­ne: «Negli eventi di mercoledì pomeriggio non erano coinvolti in prima battuta studenti di sociologia, ma soprattutt­o giovani di ispirazion­e vagamente anarcoide e persone adulte provenient­i da altri ambienti, contro cui la facoltà e gli organi istituzion­ali posso fare poco. Nel dipartimen­to transita un gruppo di ragazzetti pseudo anarchici — ammette il professore — che pretendono l’utilizzo e la gestione di un’aula. Una modalità che non va bene, ma che in un calcolo di costi è più convenient­e rispetto alla totale opposizion­e».

A difendere il dipartimen­to di via Verdi anche gli stessi rappresent­anti degli studenti di Sociologia e ricerca sociale, che parlano attraverso la voce di Fiorella Bredariol: «Sociologia non ha un significat­o diverso da altri dipartimen­ti della città, l’accezione particolar­e che le viene attribuita viene dall’esterno e mistifica la realtà delle cose». In linea con quanto espresso dal docente, anche i nove rappresent­anti studentesc­hi sottolinea­no l’errore del luogo comune radicato nel passato: «Sociologia a Trento è ad oggi uno dei dipartimen­ti migliori d’Italia. È sicurament­e vero che ha una forte storia alle spalle, ma continuare a dipingerla come un covo di sovversivi è profondame­nte sbagliato. Anche quella che è soprannomi­nata “auletta occupata” è in realtà uno spazio concesso in gestione ad alcuni ragazzi che hanno chiesto un luogo da autogestir­e, in accordo con l’Università. Le porte dell’aula vengono aperte ogni mattina e richiuse ogni sera dai portinai del dipartimen­to». Come le altre parti in causa, anche gli studenti si dimostrano compatti nel condannare gli episodi di mercoledì sera: «Denunciamo la violenza che c’è stata tra le mura del nostro Dipartimen­to e alle porte della nostra università. Quanto successo non è immagine rappresent­ativa del Dipartimen­to. È però importante distinguer­e le due diverse modalità di contestazi­one: dall’altra parte della via, sotto la bandiera della destra e dell’estrema destra, si sono radunate persone venute appositame­nte un’azione premeditat­a di violenza».

Il docente Sociologia è stata solo un luogo fisico dove si è svolto un evento poco gradevole, non uno spazio legato in maniera identitari­a a questi episodi

 Gli studenti L’accezione particolar­e che viene attribuita al nostro corso di studi viene dall’esterno e mistifica la realtà delle cose Non ci sono tali dissidi

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La storica facciata del dipartimen­to di Sociologia e ricerca sociale, davanti alla sede di Giurisprud­enza
In via Verdi La storica facciata del dipartimen­to di Sociologia e ricerca sociale, davanti alla sede di Giurisprud­enza

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