EMIGRARE, QUEL DOPPIO FILO
Schizzerotto: «Accostare il dipartimento a Curcio è pigrizia mentale»
Era ora che si aprisse un dibattito vero sulle emigrazioni italiane verso l’estero: anche se sorprende la sorpresa per la scoperta, sono riprese, a ritmi crescenti, da anni. Ed è bene che si provi — finalmente — a mettere sul tavolo soluzioni, e non solo slogan. Ma per poterlo fare con cognizione di causa, bisogna avere un’idea realistica di quello che sta succedendo: e, ancora, non ci siamo.
La prima cosa da fare è collegare — e insieme separare — il dibattito sull’immigrazione e quello sull’emigrazione. Collegarli concettualmente, perché rispondono alla stessa ricerca di orizzonti migliori, che produce la mobilità umana, qualunque nome le si voglia dare: capire che i desideri e i bisogni di chi arriva sono gli stessi di chi parte può aiutarci a riumanizzare il dibattito e al contempo a razionalizzarlo, uscendo dalla logica (illogica) degli slogan contrapposti, inutili e fuorvianti. Separarli funzionalmente, perché l’una non è causa dell’altra: le partenze non sono conseguenze degli arrivi (anzi, propriamente non c’entrano quasi niente: tranne per i livelli più bassi e che presuppongono meno — o nessuna — istruzione). Se anche non ci fossero gli arrivi, le partenze ci sarebbero comunque. E se anche non ci fossero le partenze, gli arrivi ci sarebbero comunque. Perché corrispondono a segmenti differenti di mercato del lavoro.
TRENTO «Sociologia ontologicamente prona a disordini? Una tesi ardua da molti punti di vista». L’opinione è delle più autorevoli. Antonio Schizzerotto, docente emerito di Sociologia al dipartimento di Trento ed esperto di diseguaglianze e mobilità sociale, quasi sorride attraverso il microfono del telefono commentando i luoghi comuni che circondano lo storico dipartimento di via Verdi. «Il dipartimento è stato solo un luogo fisico nel quale si è svolto un evento poco gradevole, non uno spazio legato in maniera identitaria a questi episodi» chiarisce.
Il giudizio del sociologo deriva dalla doppia fonte dello studio e dell’esperienza diretta: «L’idea che il dipartimento di sociologia sia ancora oggi legato a episodi di disordini è una forma di pigrizia mentale molto diffusa nell’opinione pubblica, che non riguarda solo i ceti popolari, ma appartenente in maniera trasversale a tutta la società. Ancora negli anni ’80 durante un convegno a Torino, il matematico e membro del Pci Lucio Lombardo Radice, sapendo che provenivo da Trento, commentò: “Dove c’è Curcio”. Ma Curcio iniziò l’attività di lotta ben dopo essersi allontanato sia dall’Università che da Trento».
La storia di quarant’anni fa, che vide il laziale Renato Curcio e la trentina Margherita Cagol frequentare le aule della neonata facoltà di Scienze Sociali prima di trasferirsi a Milano e dare il via ai primi gruppi rivoluzionari che in seguito generarono le Brigate Rosse, continua a segnare in negativo la reputazione degli studenti di oggi. «Il retaggio storico è evidente, ma si tratta di una pigra ripetizione di un luogo comune», chiarisce ancora il professore. La riflessione si sposta inevitabilmente sugli scontri che mercoledì sera hanno segnato via Verdi prima e le porte dell’aula Bruno Kessler poi, e sulle attuali frequentazioni all’interno dell’edificio, con un’importante precisazione: «Negli eventi di mercoledì pomeriggio non erano coinvolti in prima battuta studenti di sociologia, ma soprattutto giovani di ispirazione vagamente anarcoide e persone adulte provenienti da altri ambienti, contro cui la facoltà e gli organi istituzionali posso fare poco. Nel dipartimento transita un gruppo di ragazzetti pseudo anarchici — ammette il professore — che pretendono l’utilizzo e la gestione di un’aula. Una modalità che non va bene, ma che in un calcolo di costi è più conveniente rispetto alla totale opposizione».
A difendere il dipartimento di via Verdi anche gli stessi rappresentanti degli studenti di Sociologia e ricerca sociale, che parlano attraverso la voce di Fiorella Bredariol: «Sociologia non ha un significato diverso da altri dipartimenti della città, l’accezione particolare che le viene attribuita viene dall’esterno e mistifica la realtà delle cose». In linea con quanto espresso dal docente, anche i nove rappresentanti studenteschi sottolineano l’errore del luogo comune radicato nel passato: «Sociologia a Trento è ad oggi uno dei dipartimenti migliori d’Italia. È sicuramente vero che ha una forte storia alle spalle, ma continuare a dipingerla come un covo di sovversivi è profondamente sbagliato. Anche quella che è soprannominata “auletta occupata” è in realtà uno spazio concesso in gestione ad alcuni ragazzi che hanno chiesto un luogo da autogestire, in accordo con l’Università. Le porte dell’aula vengono aperte ogni mattina e richiuse ogni sera dai portinai del dipartimento». Come le altre parti in causa, anche gli studenti si dimostrano compatti nel condannare gli episodi di mercoledì sera: «Denunciamo la violenza che c’è stata tra le mura del nostro Dipartimento e alle porte della nostra università. Quanto successo non è immagine rappresentativa del Dipartimento. È però importante distinguere le due diverse modalità di contestazione: dall’altra parte della via, sotto la bandiera della destra e dell’estrema destra, si sono radunate persone venute appositamente un’azione premeditata di violenza».
Il docente Sociologia è stata solo un luogo fisico dove si è svolto un evento poco gradevole, non uno spazio legato in maniera identitaria a questi episodi
Gli studenti L’accezione particolare che viene attribuita al nostro corso di studi viene dall’esterno e mistifica la realtà delle cose Non ci sono tali dissidi
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