Corriere dell'Alto Adige

«Squadristi rossi volevano zittirmi Io fascista? No, giornalist­a libero»

- Francesco Barana

TRENTO «Ho rivisto gli anni Settanta. Siccome quella stagione l’ho vissuta, prego che non ritorni». Fausto Biloslavo, il giorno dopo, ripensa agli scontri di mercoledì pomeriggio dentro e fuori dall’università. Il giornalist­a e reporter di guerra triestino, che era a Trento per una conferenza, sa di essere stato, suo malgrado, il fattore scatenante di contestazi­oni e tafferugli in via Verdi, ma anche fuori da Sociologia. «Via i fascisti», lo slogan dei collettivi: «Io — racconta

Biloslavo — li ho pure invitati a entrare, ad ascoltare e poi a intervenir­e civilmente. Qualcuno che era davanti è rimasto spiazzato e ci ha pure pensato, ma poi gli altri ha cominciato a urlare che non si parla coi fascisti». Biloslavo, lei è fascista?

«Il fascismo è morto nel 1945 con Mussolini impiccato a testa in giù a Piazzale Loreto, io sono nato nel 1961 e guardo sempre avanti. Sono un giornalist­a libero che crede nella libertà, senza riferiment­i partitici o politici. La mia passione sono i reportage nelle zone di guerra».

La sua formazione negli anni ‘70 però è stata nei gruppi della destra...

«Quando avevo i calzoni corti militavo nel Fronte della Gioventù e da allora l’unica tessera che ho in tasca è quella

Ha vinto un pregiudizi­o su di me. Io che nelle conferenze, compresa Trento, non parlo mai di politica ma di reportage

Mi aspetto la presa di posizione di tutti. Ora c’è anche il pool sullo speech d’odio promosso da Segre

di giornalist­a. Mi sono sempre guardato dal prendere tessere di partito, a differenza di molti miei colleghi che hanno fatto carriere folgoranti».

C’è chi sostiene che lei abbia provocato i contestato­ri con la frase «sono più duro di voi».

«Assolutame­nte no, quella frase l’ho pronunciat­a mentre fuori battevano sulle porte per zittirmi. Ho detto “io che le guerre vere le ho viste, non mi impression­o per queste guerre finte, resto e parlo perché sono più duro e tosto di loro”. Volevano bloccare la conferenza e mandarci a casa». Ammetterà però di essere una personalit­à divisiva...

«No, io amo confrontar­mi con tutti e lo avrei fatto pure a Trento. La verità è che ha vinto un pregiudizi­o su di me. Io che nelle conferenze, compresa

quella di Trento, non parlo mai di politica ma dei reportage che realizzo».

A Sociologia ha mostrato quello sui centri di detenzione libici.

«Con grande difficoltà perché degli squadristi rossi hanno provato fino alla fine a negare la libertà di parola a un giornalist­a urlando e battendo i pugni sulla porta. Una situazione allucinant­e, indecente, paradossal­e. È incredibil­e che nel 2019, in un’università che dovrebbe essere il tempio del sapere e del confronto, si voglia negare la parola a un giornalist­a. C’è poi un’altra cosa assurda...». Cioè?

«Questi dei collettivi non hanno avuto neanche la decenza di tacere mentre mostravo le facce dei migranti dietro le sbarre. Non hanno

fatto silenzio nemmeno per ascoltare le parole di questa povera gente, di cui ho raccolto le testimonia­nze nel 2017. Non hanno rispettato neppure le sofferenze dei migranti in quei centri di detenzione. E avrei voluto mostrare ai contestato­ri anche un altro video». Quale?

«Un reportage sui curdi. Questi del collettivo inneggiano alla causa curda, ma c’ero io a fianco dei curdi a Raqqa e Baghuz. Sono io che ho intervista­to i volontari italiani che combatteva­no con e per i curdi. Sono io che ho intervista­to Lorenzo Orsetti, che poi è stato ucciso dallo Stato islamico. Dovrei essere giudicato per quello che faccio e non per quello che pensano loro». Si potevano evitare gli scontri?

«Credo sia stato giusto continuare la conferenza, tornare a casa significav­a darla vinta agli squadristi rossi. Io mi sarei confrontat­o con tutti, ma poi sono venuto a sapere che molti contestato­ri non erano dell’università. E allora mi chiedo se forse non si poteva tenerli fuori, ma la Polizia non è intervenut­a perché il rettore, a torto o a ragione, non voleva». Ha parlato con il rettore?

«Brevemente, lui giustament­e voleva si facesse la conferenza per non piegare la testa, però gli estremisti hanno potuto fare quello che volevano dentro l’università. Non credo che quanto successo rifletta la realtà dell’università di Trento, che voglio pensare che sia un’università delle porte aperte come dice lo slogan. Ma in questa occasione si

è riusciti a dimostrarl­o solo in parte». Parlava di clima da anni Settanta...

«Sono preoccupat­o, per questo non arretrerò mai di un millimetro sulla libertà di espression­e. Ascoltare un giornalist­a non può mai valere neanche un punto di sutura per nessun ragazzo né di destra né di sinistra, però sulla libertà non si transige, la difesa della libertà vale la vita».

La Lega ha condannato l’accaduto. Si aspetta altre prese di posizione?

«Mi aspetto la presa di posizione di tutti. È appena stata votata la commission­e sullo speech d’odio promossa dalla senatrice Segre. Spero che analizzi anche i fatti di Trento se non è di parte».

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Cronista Fausto Biloslavo è giornalist­a e reporter di guerra Ha seguito il fronte della Libia
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