«A22 e Mediocredito, più pubblico»
Fraccaro scopre le carte. «Rivediamo il Patto di Milano, ma prima estendiamo l’autonomia»
Dall’A22 «che deve essere in house» al Mediocredito, banca pubblica per le imprese Riccardo Fraccaro nel forum organizzato al Corriere del Trentino rivela le strategie del governo su tutte le partite aperte a livello regionale. «Rivedere il patto di garanzia? Siamo disponibili, con un però: contestualmente — dice — si dia autonomia anche alle altre Regioni che lo chiedono. Su Solland e medici, il ministro lancia frecciate alla Volkspartei.
La politica è «assunzione di responsabilità e decisione» per il sottosegretario di Stato alla presidenza del Consiglio pentastellato Riccardo Fraccaro. Perché «in Italia siamo sempre in ritardo: sulle grandi opere, sulla pianificazione industriale che non c’è, sulla riconversione green». E poi tocca fare gli acrobati per mettere delle pezze: mentre Venezia si inabissa anche per colpa di una grande opera bloccata da anni, il Mose, l’Ilva rischia di chiudere. E quindi? Serve uno Stato più intraprendente e protagonista, serve «una nuova sinergia tra pubblico e privato che devono lavorare insieme». Quindi sì a Mediocredito banca pubblica per le imprese, sì all’A22 in house e no alla chiusura della Solland. Ma Fraccaro, che ieri ha incontrato anche Albergatori, Artigiani e Confesercenti, non si ritrae nemmeno sulle questioni politiche. Nel corso del forum organizzato dal Corriere del Trentino con il direttore Alessandro Russello e il vicedirettore Massimo Mamoli, ha ammesso «le fibrillazioni interne al Movimento» rivendicando la paternità della riforma dei vitalizi contro il tentativo di «scippo» leghista ma riconoscendo agli ex compagni di governo la legittimità dell’introduzione dei 10 anni di residenza per accedere alla casa. «La Lega è stata votata, è giusto che alle promesse conseguano fatti» dice.
Sottosegretario, partiamo da un tema che sta facendo discutere in Trentino, ossia il futuro di Mediocredito: il pubblico deve vendere le sue quote o fa bene il presidente della Provincia Fugatti ad accarezzare l’idea di una banca a maggioranza trentina?
«Ho spiegato a Fugatti che sono disponibile a lavorare per il Mediocredito come banca pubblica di investimenti sul territorio a supporto delle imprese: se vai verso la privatizzazione, glielo ho detto chiaramente, mi troverai contrario; ho visto da parte sua disponibilità al confronto. Io ho già coinvolto Cassa depositi e prestiti e gli attori nazionali per capire come favorire Mediocredito: il Trentino va utilizzato come modello da esportare, è così che si valorizza l’autonomia».
Cita Cassa depositi e prestiti: significa che potrebbero arrivare dei soldi per l’acquisto delle quote bolzanine di Mediocredito?
«Sto ancora facendo fare un monitoraggio di quello che potrebbe essere, poi ne parlerò con Fugatti. So che Bolzano vuole vendere ma non senza l’ok di Trento, quindi la Provincia può davvero fare un progetto su Mediocredito e se fossi governatore coglierei la palla al balzo».
Veniamo all’A22: per chiudere la partita della concessione è necessario sciogliere il nodo dei privati. Rimangono o saranno liquidati?
«Io presiedo il Cipe e quindi ci troveremo presto ad affrontare la questione: la strada scritta dall’allora ministro Toninelli (che prospettava una società totalmente pubblica, ndr) per me è da prediligere perché metteva Stato ed enti locali insieme con una gestione delle risorse sul territorio. Le autostrade sono opere strategiche, quando entra un privato si genera un meccanismo contorto. Perché gli investimenti possano essere ammortizzati le concessioni si sviluppano su periodi lunghi; ma vincolarsi con un privato per 30 è difficile perché le cose nel tempo cambiano».
A proposito di infrastrutture si pone in Trentino anche un problema di coerenza dei progetti: si parla da un lato di elettrificazione della Valsugana e dall’altra della Valdastico. In quale direzione bisogna andare?
«Di Valdastico si parla da 40 anni e poi non si fa; e nel frattempo la Valsugana rimane sempre uguale. La mia idea è: se abbiamo un po’ di soldi mettiamoli lì, velocizziamo con l’elettrificazione. Se crei una strada vengono più auto, dobbiamo chiederci: il Trentino ha risorse e consenso per fare questo? Mi pare di no, mentre sul treno e sulla sistemazione della Valsugana sì e nel Cipe daremo massima disponibilità a dare un canale preferenziale alla ferrovia della Valsugana».
Veniamo all’autonomia: Fugatti ha chiesto di rimettere mano al patto di garanzia del 2014, figlio dell’accordo di Milano. Le Province di Trento e Bolzano si sono prese più competenze ma i gettiti arretrati che arrivavano da Roma in virtù di questo accordo stanno venendo meno e quindi Fugatti chiede di allargare i cordoni della borsa. Siete disposti a farlo?
«La disponibilità a riaprire il confronto c’è, con un però. La mia linea sull’autonomia è questa: l’autonomia si è indebolita nel momento in cui in Parlamento si è cercato di rafforzarla fregandosene dal resto di Italia, ho visto soprattutto l’Alto Adige e l’Svp che hanno tenuto un atteggiamento lobbistico. La logica era un po’ quella del “voto qualsiasi cosa pur di portare a casa un emendamento che tuteli gli interessi del Trentino e dell’Alto Adige”; questo ci ha indebolito. Si può ragionare per modificare il patto di garanzia ma prima facciamo passi avanti sulle autonomie delle Regioni che lo stanno chiedendo, Veneto in testa ma anche Lombardia e Emilia Romagna. Per rafforzare quella trentina dobbiamo iniziare a esportarne un po’ nelle altre regioni. Pensate che effetto paradossale: non abbiamo ancora dato le autonomie chieste ma abbiamo rafforzato quella trentina; così non funziona, facciamolo parallelamente. Altrimenti diventa sempre più un privilegio».
In virtù anche delle maggiori competenze in Trentino sono gestite politiche sociali, dalla casa e agli ammortizzatori. In assestamento al bilancio la Lega ha introdotto, per numerose misure in testa l’assegnazione degli alloggi pubblici, il vincolo territoriale dei 10 anni di residenza. Cosa ne pensa?
«Io credo che ci stia, i trentini hanno votato la Lega ed è giusto che il voto si traduca politicamente in qualcosa; l’importante è che il piano casa ci sia; abbiamo messo 850 milioni di euro in questa manovra nel piano casa; perché il problema c’è. Oggi abbiamo tanti sfitti, soprattutto a Trento, e tante che chiedono un aiuto. Abbiamo cercato, come governo, di facilitare questa via con la cedolare secca al 10 per cento e con 850 milioni in più anni per il piano casa; il Trentino le risorse le ha».
Tra un po’ si vota in Emilia Romagna, ma anche in Trentino a maggio ci sarà una tornata elettorale importante in molti comuni. C’è però nel movimento un po’ di fibrillazione.
«Il Movimento 5 stelle è in fibrillazione, è inutile nascondercelo: la scelta di andare al governo ha cambiato radicalmente il nostro percorso; prima eravamo antisistema, ora siamo al governo, una situazione entusiasmante ma molto difficile per quello che abbiamo trovato. Il Movimento si deve ripensare: abbiamo aperto una fase costituente, si formerà una squadra di 20 persone che affiancherà il capo politico nelle decisioni su tutte le materie, una struttura che non abbiamo mai avuto ma in questa fase di transizione è inevitabile che ci sia uno scossone. Ma lo abbiamo scelto e lo affrontiamo: prevedo mesi di cambiamento».
Qui in Trentino i grillini hanno fatto pressione sul Movimento nazionale per essere ascoltati.
«Ci sarà, tra i venti facilitatori, una persona per occuparsi dei territori, entro fine anno saranno individuate tutte»
Rimanendo in tema di elezioni, l’alleanza con il Pd può diventare strutturale?
«La strada mi pare difficile. Siamo più omogenei al Pd che alla Lega? Mah, dipende dagli argomenti».
Ma non può negare che le vostre idee siano più a loro agio a sinistra che a destra.
«Non è vero e se ci convinciamo di questo sbagliamo».
Quindi vi collocate in mezzo, agendo un po’
"Possiamo rivedere l’accordo di Milano, ma diamo autonomia anche alle altre regioni
Fraccaro: bene sui vitalizi, ma sui 2 milioni di risparmi siano i cittadini a decidere
come il Psi di un tempo, valutando di volta in volta con chi stare?
«Potrebbe essere un’idea. Se perdiamo il nostro carattere post ideologico non abbiamo più senso».
Tornando ai territori, nel Nord a far sentire la loro voce sono i sindaci, spesso schiacciati tra burocrazia e pochi fondi. Che progetti avete per loro?
«Nell’ultima manovra ci sono 8 milioni annui per i Comuni trentini (così come per tutti i Comuni italiani, in proporzione) per piccoli investimenti: tutti avranno una quota da 50 a 250 mila euro per 5 annui ogni anno, con affidamento diretto; stiamo contemporaneamente approvando il ddl «libera sindaci» per togliere burocrazia ai sindaci».
Intanto anche il Trentino si è adeguato alla riforma dei vitalizi.
«Siamo stati i penultimi, manca solo la Sicilia, era ora, e quindi sono contento che abbiamo costretto il Trentino e l’Alto adige a tagliare i vitalizi».
La Lega dice che è merito suo.
«No, questo è frutto di un accordo Stato Regioni che ho voluto io. Dobbiamo verificare se hanno rispettato i parametri, ma a prima vista ci siamo».
Quei due milioni di risparmio come si potranno utilizzare?
«Sarebbe bello far decidere ai cittadini; è facile, si fa un piattaforma e facciamo decidere a loro».
Si potrebbe immaginare in chiave trentina quello che è stato fatto a Bologna, dove il Comune destina un milione di euro per finanziare dei progetti su temi prestabiliti per una città condivisa. Ogni quartiere raccoglie alcuni progetti e li fa votare dai cittadini.
«Sì, perché qui inizia la partecipazione positiva. Certo che si potrebbe fare una cosa simile. In questo modo si fa anche educazione civica, perché il cittadino che elabora un progetto si deve confrontare con le difficoltà degli iter amministrativi».
Un altro caso che interessa il Trentino è quello di Chico Forti. A che punto siamo?
«Sono in contatto con la Farnesina e devo dire che il fatto che ci sia lì Di Maio aiuta, ci stiamo interessando molto, è un tema molto delicato con implicazioni giudiziarie importanti che vanno gestite in modo diplomatico».
Da Trento a Bolzano di recente è scoppiata una polemica legata alla legge voluta da Kompatscher per assumere medici che parlano solo tedesco. STiroler Freiheit aveva diffuso anche dei manifesti xenofobi contro i medici italiani. Il ministro si è detto pronto a impugnare. Che ne pensa?
«Sono provocazioni inaccettabili: si tratta di strumentalizzazioni politiche, perché l’Svp teme di perdere consenso a destra nella popolazione di lingua tedesca e quindi strizza l’occhio all’estrema destra italiana; appena arriva in Parlamento la bloccheremo. Trovo per altro scandaloso che non si sia arrivati a una scuola bilingue: una società sempre più unita si costruisce partendo dalla scuola».
Mentre nel Paese divampa il caso Ilva in Alto Adige continua a far discutere il caso Solland Silicon, con il governatore Kompatscher che spinge per la chiusura e la dismissione. Che succederà?
«Credo che Kompatscher stia commettendo un errore, la disoccupazione in Alto Adige non esiste e la Solland è un’azienda strategica perché fa silicio di altissima qualità e sono pochissime le aziende che lo fanno al mondo; mantenere un’azienda simile in Italia sarebbe importante per la strategia nazionale: credo che Kompatscher
abbia sbagliato favorendo la visione tedesca a scapito di quella italiana e abbia fatto una valutazione più di voti che di strategia nazionale. Come governo abbiamo dato tutta la disponibilità a riaprire e cercare di valutare nuove offerte e nuove disponibilità che stavano arrivando; ma c’è una chiusura e l’autonomia comporta anche il rispetto delle scelte strategiche territoriali. Come governo non possiamo opporci, abbiamo fatto pressioni politiche e se anche avessimo strumenti di coercizione non li vorremmo usare, i cittadini poi sceglieranno. È un’azienda strategica un po’ come l’Ilva: avere acciaio è strategico, con l’acciaio si fa geopolitica, si vende a Paesi del Medio Oriente, se non lo produciamo qui l’acciaio dobbiamo chiederlo a Cina e India e così diveniamo meno forti nello scacchiere internazionale».
E come se ne esce?
«L’Italia non ha da anni una visione industriale, non c’è pianificazione industriale; occorre investire nella riconversione verso il verde e nell’economia circolare: altrimenti non hai accettazione da parte della comunità né futuro, perché gli investimenti oggi vanno in quella direzione; e poi hai una finestra temporanea dove per la prima volta gli investimenti nell’economia circolare e nella sostenibilità equivalgono a profitto. Abbiamo deciso, come governo, di investire molto e sempre di più in questo anche se ha un prezzo, perché devi chiudere qualcosa e mentre chiudi ci sarà il problema della riallocazione delle risorse umane e della formazione. Sempre di più, in questo percorso, pubblico e privato si confondono, non possono più essere considerati separati, con il pubblico che dà le regole e privato che si arrangia: dal 2013 al 2018 abbiamo perso 320 miliardi di aziende italiane acquistate dai francesi, la globalizzazione oggi è guerra commerciale e industriale. Se come Stato si fa oggi una strategia, insieme alle aziende italiane, di rilancio in Italia e di protezione internazionale si sopravvive, altrimenti l’Italia rimane in una sterile fase di difesa come adesso».
Lo Stato è in grado di accompagnare questa fase con presenti ammortizzatori sociali?
«Non abbiamo alternativa».
Quindi più pubblico?
«Direi più sinergia pubblico privato, da soli non ce la fanno. Più Stato? Sì se inteso come comunità».
I mali italiani che ha descritto poco fa sembrano essere alla base di quanto è successo a Venezia, con il Mose sul banco degli imputati per l’alluvione. Cosa bisogna fare ora?
«Il caso Venezia è emblematico, parla di un modello italiano delle grandi opere che non funziona; opere mastodontiche che non vanno avanti per decenni e di cui si discute bloccate per lo più dalla magistratura perché foriere di tangenti. Quanto al Mose: chi governa deve scegliere e se ne assume la responsabilità; noi eravamo contrari a quell’opera perché gli esperti ci dicevano che esistevano soluzioni meno costose e meno rischiose, se avessimo governato avremo fatto altro e non il Mose. In Italia però alla fine nessuno paga. Zaia era vicegovernatore al fianco di Galan quando sono state fatte queste scelte. La strada da percorre in Italia è rivedere le modalità di scelta delle grandi opere, perché in 30 anni non abbiamo mai portato avanti un percorso lineare; noi siamo per completare il Mose perché ormai siamo al 90 per cento: se funziona lo riconosceremo, ma chiediamo alla magistratura di fare presto per individuare tutte le responsabilità e credo che anche la Lega debba fare in Veneto un mea culpa per come non ha gestito tutta la faccenda».
"Credo sia difficile che l’alleanza con il Pd diventi strutturale Noi di sinistra? Non è vero