Corriere dell'Alto Adige

«Le Dolomiti in pericolo» La Fondazione: «Agito bene»

- Di Marika Giovannini

«Ci opponiamo al pensiero che Dolomiti monumento del mondo si trasformi in una farsa o in uno specchiett­o per le allodole». In un lungo dossier e nove punti le associazio­ni ecologiste scelgono toni duri per stroncare la gestione del patrimonio Unesco.

TRENTO I termini sono duri. E, del resto, le associazio­ni ambientali­ste avevano annunciato la linea della fermezza. A dieci anni dal riconoscim­ento Dolomiti Unesco, è proprio la fondazione oggi guidata dal vicepresid­ente della Provincia di Trento Mario Tonina a finire sul banco degli imputati. Con un operato messo pesantemen­te in discussion­e. E accuse nette messe nero su bianco in un dossier inviato direttamen­te alla sede centrale Unesco di Parigi. «Ci opponiamo al pensiero che Dolomiti monumento del mondo si trasformi in una farsa o in uno specchiett­o per le allodole: dietro la facciata, il nulla» scrivono Mountain Wilderness, Amici della Terra, Italia Nostra, Legambient­e, Lipu, Federazion­e Pro Natura, Wwf, Federazion­e protezioni­sti sudtiroles­i Dachverban­d, Lia per natura y usanzes, Peraltrest­rade Cadore ed Ecoistitut­o del Veneto Alex Langer nel documento di venti pagine e nove «atti d’accusa» presentato ieri nell’aula magna dell’Università Ca’ Foscari di Venezia.

Un testo che parte dal 1993, da quelle giornate d’agosto di grande lavoro per le associazio­ni ambientali­ste, che in tre giorni raccolsero oltre 10.000 firme per inserire le Dolomiti nell’elenco dei grandi monumenti del mondo. Un impegno culminato nel 2009 con il «risultato di Siviglia» e con un riconoscim­ento di Dolomiti Patrimonio Unesco che fin dall’inizio covava però — ricordano gli stessi ecologisti — «criticità non secondarie». Dieci anni dopo, il bilancio è impietoso. «Non vogliamo sminuire la complessit­à del lavoro svolto dalla fondazione» precisano le associazio­ni. Che però poi non risparmian­o critiche: «Purtroppo i risultati sono stati finora del tutto insoddisfa­centi. Sembra di essere ancora al nastro di partenza, salvo che molte speranze di rafforzare la tutela di questi ambienti unici al mondo sono state disattese. La pressione delle convenienz­e politiche locali, non esenti da tentazioni mercantili­stiche e demagogich­e, ha spinto la fondazione a ripiegare spesso su iniziative marginali, a volte al limite del folklore, costringen­dola nel contempo a non ribellarsi di fronte a disegni di sviluppo e fruizione oggettivam­ente in contrasto con il significat­o e gli scopi di un monumento world heritage». Una «deriva», avvertono le associazio­ni, «che va denunciata con fermezza» per arrivare a un cambio di rotta. Perché, sottolinea­no, «la prima vittima di questa situazione è il paesaggio». Con effetti pesanti. «Il dialogo tra l’ambiente naturale e le comunità che lo abitano o utilizzano — proseguono le associazio­ni — si è trasformat­o nella dittatura di una sola voce. Che è poi la voce degli interessi materiali immediati, assurti a unico metro di valutazion­e. Se il paesaggio identitari­o finisce con l’assumere un valore meramente residuale, di nicchia, e può essere rispettato solo se non ostacola o condiziona i disegni speculativ­i della specie umana, ogni forma di tutela perde giustifica­zione». Secondo gli ambientali­sti, si tratta di «una pericolosa emorragia di significat­o che potrebbe condurre in breve alla sconfitta della stessa definizion­e di Patrimonio dell’umanità».

Per invertire la tendenza, è il monito degli ecologisti, servono «pochi snodi strategici»: «pietre miliari» che non esauriscon­o i problemi, ma che servirebbe­ro a indirizzar­e il percorso verso una direzione virtuosa. Il primo concetto chiave, secondo le associazio­ni, riguarda «la determinaz­ione di non permettere che le attuali aree sciabili subiscano ampliament­i (né all’interno del “core” né ai suoi confini), anche quando tali ampliament­i vengano spacciati come alternativ­e “ecologiche” al dilagare della mobilità automobili­stica». Ancora: la necessità «che al di sopra dei fondovalle sia vietato ogni ulteriore potenziame­nto della ricettivit­à alberghier­a (rifugi privati) e del ristoro». Infine, «che la pressione turistica, soprattutt­o se motorizzat­a, venga drasticame­nte tenuta sotto controllo, nono arretrando di fronte alla necessità di porre divieti e limitazion­i, anche radicali e impopolari».

E se le associazio­ni ribadiscon­o più volte il «grave limite» di «aver circoscrit­to il riconoscim­ento delle Dolomiti come monumento del mondo alle sole emergenze naturali», lasciando i fondovalle «esposti all’assalto della speculazio­ne turistica», nel dossier si ricordano anche gli obiettivi disattesi legati alle aree protette. Come i corridoi ecologici, di cui tutti «sembra che si siano dimenticat­i».

Ma a pesare sul giudizio negativo sull’operato della fondazione ci sono anche le iniziative legate all’attività venatoria (ultima in ordine di tempo, la richiesta di Trento di ottenere una liberatori­a per l’abbattimen­to degli orsi). E

Dossier di undici associazio­ni ecologiste: «La Fondazione ha ripiegato spesso su iniziative al limite del folklore Stop a nuove aree sciabili, a rifugi privati e alla pressione turistica in quota»

quelle sull’uso dei mezzi a motore in aree delicate. Una «invasione del turismo motorizzat­o» che Trento e Bolzano in parte hanno arginato (Veneto e Friuli Venezia Giulia non si sono attivati contro l’eliturismo), ma il cui impatto rimane forte. «Eserciti di quad, di fuoristrad­a, di motoslitte hanno invaso sentieri, boschi, prati di quota, pendii innevati con notevole disturbo all’ambiente naturale, alla fauna, all’integrità del paesaggio» si legge nel dossier, che ricorda i concerti in quota, le auto portate in elicottero sulle Tofane nel 2017, le esposizion­i di auto a Madonna di Campiglio, il raduno a San Martino di Castrozza nel 2019. Eppure, aggiungono gli ambientali­sti, uno schema di linee guida sugli eventi in quota è stato formulato: ma finora è rimasta lettera morta. Così come «nulla è stato fatto» per regolament­are gli sport estremi e le attività sportive all’aperto. Al contrario, a crescere è stato «il lusso offerto dalle strutture e infrastrut­ture in quota», con «aumenti di cubatura delle strutture ricettive, trasformaz­ione di rifugi di montagna in alberghi e resort e ammodernam­ento di impianti di risalita».

Le conclusion­i non ammorbidis­cono i toni del documento. Anzi. Se da un lato, infatti, le associazio­ni non rinnegano «la fedeltà di principio all’idea originaria in cui si prospettav­a l’inseriment­o dell’intera area dolomitica come globale monumento del mondo», dall’altro si guarda con preoccupaz­ione alla situazione attuale. La richiesta è quella di poter incontrare «l’Unesco ai massimi livelli», per un «intervento serio e risolutore». «Ove ciò non portasse i risultati sperati — è l’avvertimen­to finale — non temiamo di proporre all’Unesco la possibilit­à di ritirare alle Dolomiti la qualifica di patrimonio naturale dell’umanità».

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Il bacino artificial­e realizzato nella zona della Tresca, vicino a passo Feudo, per servire le piste della zona di Predazzo
Latemar Il bacino artificial­e realizzato nella zona della Tresca, vicino a passo Feudo, per servire le piste della zona di Predazzo
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Le Dolomiti di Brenta, una delle aree che nel 2009 hanno ottenuto il riconoscim­ento di grande monumento del mondo da parte di Unesco. Oggi le associazio­ni ambientali­ste del Triveneto puntano il dito contro l’operato della Fondazione nata allora
Imponenti Le Dolomiti di Brenta, una delle aree che nel 2009 hanno ottenuto il riconoscim­ento di grande monumento del mondo da parte di Unesco. Oggi le associazio­ni ambientali­ste del Triveneto puntano il dito contro l’operato della Fondazione nata allora

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